Viaggio

La partenza: dalla laguna alle Marche

incredibile, partiti!

Ci siamo, il viaggio pianificato a lungo è iniziato.

Abbiamo sistemato gli ultimi dettagli, salutato le persone a cui vogliamo bene.

Il giorno della partenza è il primo martedì di luglio, prima tappa da Chioggia al Conero.

A mezzogiorno molliamo gli ormeggi, salutati dai tuttofare del marina della Darsena Mosella che ci ha ospitato nei nostri primi 9 mesi da armatori (in pratica non è una partenza ma un parto…) e ci allontaniamo dalla laguna. 

L’obiettivo è quello di provare ad utilizzare il motore il meno possibile, un po’ per risparmiare ed un po’ per abituarci ai ritmi che non sono più quelli della flottiglia, sempre con un occhio al calendario, né quelli delle regate, con un occhio alla linea di arrivo.

Le emozioni sono tante, e finalmente arriva anche la gioia, il vento ci aiuta a veleggiare ma non ci impedisce di godere di quelle prime ore di libertà: stiamo vivendo quello che avevamo sognato, è una sensazione ignota, per la prima volta nella nostra vita non abbiamo metri di paragone o punti di riferimento, siamo diventati noi il paragone di noi stessi.

Dobbiamo scrivere il nostro privato vocabolario fatto di aspettative, realtà, desideri e mancanze, ci si sente quasi tramortiti e riempiti da qualcosa che non si riesce a gestire. E forse il segreto sta proprio lì, nello smettere di usare paradigmi che vanno bene nella vita “da città” e nel coniarne di nuovi. Ad esempio, voler gestire tutto quello che accade dentro e fuori forse non è la scelta migliore, bisogna adattare i corpi e le teste ad un’altra sintassi.

che belli i pranzi di bolina

Il mare è calmo, la giornata soleggiata e tutto procede per il meglio. Stappiamo finalmente la maestosa bottiglia dono dell’amico Umbres e, dopo aver offerto le libagioni a Marianne e a Nettuno, brindiamo ed iniziamo a studiare il percorso.

Abbiamo deciso di non andare in Croazia, il passaggio, seppur breve, sarebbe un po’ troppo oneroso. Pare, dalle vaghe informazioni reperite su internet, che ci sia da pagare una vignetta di circa 300€ per poter veleggiare su acque croate. La rotta per raggiungere la Grecia ionica prevede quindi un veloce attraversamento dell’Adriatico, ci fermeremo, dopo quasi 24 ore di navigazione, a Portonovo, una delle poche baie della costa adriatica che ci permetterà di stare alla fonda.

La navigazione scorre senza problemi, Marianne risponde bene ai comandi, bisogna solo fare attenzione alle piattaforme e ai numerosi campi ittici che si trovano a largo della costa. Ma una volta identificate le boe è semplice tenerle sottovento.

ah, che freschezza le notturne

Ci siamo, scende la luce e la prima notturna si dipana davanti a noi, i turni sono quelli che avevamo già sperimentato in passato: Giada fino alle due di notte, Gianluca dalle due all’alba (turno un po’ più impegnativo ma d’altra parte è il capitano…), Giada dall’alba in poi. Di notte il vento cala quindi utilizziamo ogni tanto il motore. Inoltre abbiamo capito che le batterie non riescono a reggere tutta la notte quindi abbiamo bisogno di accendere il motore anche per ricaricarle. Nota: dobbiamo decisamente acquistare una terza batteria!

La mattina del 3 luglio arriviamo a Portonovo, carichi di stanchezza e del desiderio di fare un bagno: in questo inizio estate da armatori non ci siamo ancora concessi un tuffo in mare.

Le bianche scogliere di Portonovo, dopo ore passate a vedere da lontano la costa ipercostruita della Romagna, sembrano quasi oniriche, l’acqua ha finalmente un colore che invita ad entrare dentro senza remore, c’è un po’ di schiuma ma ci sembra comunque di essere già arrivati ai Caraibi. Ed una volta tuffati veniamo premiati da una temperatura perfetta, il bagno ci sveglia e ci rimette al mondo.

Il viaggio è davvero iniziato.

E col viaggio inizia quella che presto diventerà una routine: dare ancora, sistemare le piccole magagne della barca, capire cosa preparare da mangiare, decidere dove andare il giorno dopo.

Il pomeriggio vola e dopo aver ancorato per la notte protetti a nord dalle scogliere e ad est da una specie di molo artificiale, dopo una cena leggera scendiamo un po’ provati sottocoperta. Peccato che l’adrenalina non ne voglia sapere di scendere, e mentre Gianluca si addormenta immediatamente io continuo a leggere (santo subito Kindle) cercando di trovare il sonno tra le righe di un libro un po’ noioso.

E invece del sonno inizio a sentire un rumore che sembra provenire dalle viscere del mondo e con la coda dell’occhio vedo fuori dall’oblò il cielo che si illumina di una luce elettrica.

Ecco, il battesimo della prima notte all’ancora: vento a 40 nodi, temporale poco più a largo, brividi di freddo e, per me, di paura.

Cosa facciamo?

Niente, si rimane all’interno della baia, è la scelta più sicura per il momento. Gianluca si sveglia, esce, si lega con la life-line ed inizia la guardia. Controlla la catena ma confida nella sua linea di ancoraggio, niente è stato sottovalutato. Possiamo solo rimanere svegli,  sperare che l’ancora tenga e con la forza del pensiero far allontanare quei lampi che sembrano incredibilmente minacciosi quando si è in barca. Ma l’urlo del vento è un rumore che anche volendo non si può ignorare, ora capisco come si sentivano i porcellini nella casetta di paglia quando il lupo soffiava. Sembra che tutto il cielo stia spingendo contro di noi e con ritmo quasi musicale ogni 5 secondi torna una raffica ululando.

Per fortuna dopo un paio d’ore, che io ho superato indenne solo perché un amico mi ha tenuto compagnia virtualmente consigliandomi dove e cosa mangiare nelle Marche, tutto si placa e possiamo provare a riaddormentarci, ovviamente io ritorno al mio Kindle e alle cinque mi si chiudono finalmente gli occhi.

La mattina successiva splende il sole, fa caldo, sembra che la nottata sia stata solo un brutto sogno. Prima lezione: il mare può cambiare faccia in maniera incredibilmente repentina e bisogna tenere sempre i nervi saldi, solo la lucidità di ragionamento può aiutare a prendere le decisioni migliori. Ovviamente la percezione del pericolo per me, che tutto sommato sono una neofita, è molto diversa rispetto a chi di notti di temporale ne ha vissute un po’ di più e qui entrano in gioco la comunicazione e la fiducia tra i membri dell’equipaggio.

Decidiamo di riprendere la veleggiata e puntare il porto di Civitanova, considerando il vento e le previsioni meteo sembra essere quello più semplice come ingresso, la cifra che chiedono per il transito di una notte è onesta ed il mio amico Giacomo ci ha consigliato qualche trattoria in zona. Ce lo meritiamo!

Arriviamo a Civitanova dopo una bellissima veleggiata, alla nostra destra scorre il paesaggio verde e morbido delle colline marchigiane che degradano dolcemente nelle spiagge, salutiamo le Due sorelle, Numana, Sirolo, ci lasciamo alle spalle il promontorio del Conero ed entriamo a Civitanova, guidati dal campanile che fa anche da faro, il primo dei tanti punti cospicui che imparerò a leggere nel panorama.

Il molo di Civitanova fa parte di quello che scopriremo essere un progetto artistico che coinvolge tutta l’area portuale: centinaia di murales decorano il molo ed i muri della zona, dandoci un colorato benvenuto. Riusciamo ad identificare il posto barca che Gianluca del Centro Velico ci ha riservato e facendoci largo tra le derive ed i ragazzini che si allenano attracchiamo.

Una veloce doccia per Marianne e siamo pronti per la nostra doccia, inizia la ricerca dei bagni. Siamo arrivati troppo tardi per ottenere la scheda che ci permetterà di avere libero accesso ai pontili quindi iniziamo a fare conoscenza coi vicini per capire come funziona il marina. Il nostro vicino di sinistra è lo skipper di un grande motoscafo che d’inverno fa il capitano di pescherecci. Con la gentilezza che incontreremo ovunque in questa tappa marchigiana, ci da le prime dritte. Ci sciacquiamo la salsedine di dosso e siamo pronti per l’esplorazione della città, recuperiamo qualche informazione da quei personaggi che credo alberghino in ogni marina, signori ultrasettantenni che svernano al bar guardando le barche ormeggiare. Scopriamo di essere praticamente in centro ed usciamo, un po’ sbadigliando per le miglia accumulate, alla scoperta.  

Le stradine del vecchio borgo marinaro si aprono in un grande viale di palazzine Liberty, da lì passiamo nei giardini cittadini ed attraversando un vecchio lido arriviamo nella zona degli chalet, come vengono chiamati nelle Marche gli stabilimenti balneari.

L’atmosfera è quella rilassata e tranquilla di una cittadina turistica che sta ancora aspettando il vero assalto dei vacanzieri, ci uniamo alle famiglie del posto per cenare in un lido con i piedi nella sabbia. E dopo un glorioso gelato siamo pronti per rientrare in barca. Finalmente stanotte si dorme, a 72 ore dalla partenza ci possiamo rilassare!

Il giorno dopo inizia la scarpinata per recuperare del cibo fresco e dell’acqua, andiamo a cena fuori ma vorremmo diventare risparmiatori provetti quindi… decidiamo di non prendere dei limoni che ci insultano per quanto sono cari.

Siamo pronti, si riparte e stavolta la meta è un’isola, o meglio, un arcipelago, quello delle Tremiti.

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