Viaggio

Seconda tappa: si va a ballare in Puglia

Salutiamo Civitanova e rimettiamo la prua verso sud, destinazione finale: Tremiti, le miglia che ci aspettano sono molte.

Dall’Italia alla Grecia abbiamo deciso di correre spediti, vorremmo evitare di stare inutilmente nei porti, non così economici, della costa orientale dell’Italia. In questa maratona le Tremiti rappresentano il primo stop che profuma un po’ di vacanza.

Ogni volta vorremmo partire la mattina presto, ma dobbiamo ancora prendere le misure con le mille cose da fare pre-partenza… e così da Civitanova ci allontaniamo verso l’ora di pranzo.

Da lì a mezzanotte ogni due ore ci ritroviamo ad accendere e spegnere il motore, andiamo avanti a singhiozzo facendo slalom tra i campi di allevamento ittico e le piattaforme che, quando il sole scende, sembrano incongrui alberi di Natale luminosissimi in mezzo al mare.

Il vento cala del tutto, e si smotora quasi per tutta la notte finché alle 7 di mattina ci troviamo davanti ad un bivio: continuare fino alle Tremiti (col rischio di non riuscire a far diesel una volta lì visto che pare non ci sia possibilità di rifornimento) o allungare un po’ verso Termoli, toccare il leggendario Molise, fare il pieno e riprendere la rotta. Pianificare in anticipo, la regola aurea della vela.

Decidiamo per la seconda opzione, ci sarebbe piaciuto scendere a terra ma al porto ci chiedono l’equivalente di una notte intera per un transito di un paio d’ore, quindi facciamo il pieno, salutiamo i ragazzi della palafitta del benzinaio e ripartiamo.

Arriviamo finalmente alle Tremiti nel pomeriggio.

Per tutto il tragitto il vento non si fa vedere, per alzarsi orgoglioso all’avvistamento di San Domino, la più grande isola delle Tremiti.

qui il garroccio ci saluta
qui il garroccio ci saluta

La voglia di issare le vele è tanta ed è qui, tra una bolina ed una virata, che si consuma la prima mini-tragedia di Marianne: dopo aver dato una mano di terzaroli alla randa sentiamo dei rumori, un garroccio si è strappato. Ammainiamo la randa ed il fiocco e mestamente riaccendiamo il motore, ormai siamo quasi arrivati.

Cerchiamo di non farci prendere dallo sconforto e valutiamo le opzioni: il prossimo porto in cui abbiamo deciso di fermarci è Bari, è una grossa città di mare e sicuramente ci saranno dei velai che potranno riparare la randa. Chiaramente il pensiero corre al budget, abbiamo scoperto come in un viaggio di questo tipo anche la brutta sorpresa più piccola ed insignificante possa voler dire importanti e drastiche flessioni di budget.

Ed ovviamente è sabato, quindi dobbiamo in ogni caso aspettare altri due giorni prima di poter contattare qualunque eventuale fornitore.

E per la legge di Murphy si sa, queste cose succedono SEMPRE di sabato. L’anno scorso, durante un trasferimento di Bora Fast da Genova a Trapani, ci si è rotta la cinghia di distribuzione del motore, e neanche a dirlo era sabato. Ci siamo quindi ritrovati bloccati a Bastia con 40 gradi per tutto il week-end, in attesa del lunedì.

Ma ormai siamo alle Tremiti, è il nostro primo fine settimana di vacanza vera, cerchiamo di chiudere in un ripostiglio i pensieri più negativi e proviamo a goderci la nostra esplorazione.

L’arcipelago delle Tremiti, l’unico di tutto l’Adriatico italiano, è formato da cinque isole, di cui però solo due sono abitate: San Domino e la dirimpettaia San Nicola. La natura la fa da padrona in questa manciata di isolette che hanno attraversato i secoli nuotando tra le pieghe della storia, testimoni di miti greci, di esili imposti da Cesare nell’antica Roma, di lotte di territorio tra pirati e Papi, di colonie penali in tempi più recenti di fascismo. Libici che insorgevano alla dominazione italiana furono deportati qui, e alla fine dell’800 i pescatori di Ischia hanno abitato queste terre per ripopolarle. Oggi, gli abitanti delle Tremiti non hanno alcun gene libico ma, curiosamente, il loro dialetto ricorda quello di Ischia e così, con un salto largo quanto l’Italia, Tirreno ed Adriatico si incontrano.

Le isole Tremiti sono anche chiamate Diomedee, dal nome dell’eroe dell’Iliade che, lanciando alcuni sassi, le creò nel mezzo dell’Adriatico e diomedee è anche il nome dei gabbiani locali il cui verso ricorda un pianto di un bambino, suggerendoci così l’etimologia del loro nome: pare che siano i discendenti di quei compagni di ventura di Diomede tramutati in uccelli da Venere per poter piangere e continuare a fare la guardia al sepolcro del loro condottiero, che proprio qui trovò la morte.

San Domino con la sua fitta vegetazione di pini marittimi e le sue grotte sul mare invita a nuotate ed escursioni, ed i turisti non si fanno pregare.

Qui abbiamo visto per la prima volta barche stipate all’inverosimile di turisti vocianti, ogni gommone aveva a bordo almeno 3 famiglie.

Appena abbiamo dato ancora nella baia degli inglesi siamo stati raggiunti da quella che ci sembrava essere la melodia di un disco ed invece era un corpulento signore, a bordo di un gommone, che intratteneva gli ospiti abbozzando un’aria lirica. Ci siamo detti che forse in qualche modo lo spirito di Lucio Dalla, che di queste zone è stato amante e che oggi viene citato come nume tutelare, aleggia qui attorno benevolo e canterino.

"La bionda"
“La bionda”

Sulla costa nord di San Domino si trova la maggior parte di baie e grotte e qui, nella baia del coccodrillo, abbiamo deciso di inaugurare le escursioni a bordo del nostro kajak gonfiabile, soprannominato “La bionda” per i suoi colori nordici e in onore della gentile benefattrice che l’ha donato a Marianne.

Il kajak vince per due motivi: anche io riesco a pagaiare senza girare in tondo e vale da boa di sicurezza per chi dei due nuota. Certo ci piacerebbe avere a bordo anche un SUP, da noi soprannominato Sono Un Pensionato, ma per ora il budget non ce lo permette, forse non siamo ancora abbastanza pensionati (maledizione!).

Le isole sono esposte e non ci sono molte baie in cui attraccare per la notte, la soluzione più sicura è fare affidamento sui gavitelli che si trovano nel canale tra le due isole principali.

Nota curiosa: il canale è sormontato da un cavo elettrico alto 20 metri, sta al navigante fare i calcoli “il mio albero passerà indenne?”. 

Noi da bravi prudenti (leggi cagasotto) abbiamo fatto il giro largo la prima sera ed abbiamo tentato la fortuna la seconda spiando tutte le barche simili alla nostra che sceglievano il rischio, ovviamente ci passavamo abbondantemente…

La presa del gavitello richiede alcune fondamentali abilità: vista da falco per notarlo tra le onde, faccia tosta per rubarlo sul tempo a chi si sta avvicinando assieme a te, sordità temporanea e selettiva nei confronti di chi ne recrimina il possesso, ed ovviamente abilità manuale nell’incastrare il gancio del mezzo marinaio nell’anello del gavitello, forza immane per alzarlo e passarci dentro la cima.

Insomma dopo cinque minuti (perché è chiaro che tutte le difficoltà di cui sopra sono solo mie e Gianluca invece infila gavitelli come io infilo penne al sugo nella forchetta) diamo ancora. E ci prendiamo tutta la corrente del canale ma lo spettacolo è meraviglioso: a sinistra si impone San Domino con le sue luci incastrate nel bosco e lontane note di uno stonato karaoke, a destra si staglia la brulla San Nicola con le sue scogliere e la meravigliosa abbazia fortificata che si affaccia sul mare, e che di notte viene illuminata da decine di luci che le danno l’aspetto di una cattedrale nel deserto.

La seconda sera decidiamo di scendere a terra, ormai abbiamo fatto nostro quel gavitello e ci possiamo fidare. Gianluca col kajak va a cercare un taxi boat e dopo poco viene a prenderci un sorridentissimo ragazzo colombiano che vive tutto l’anno su San Nicola, le vie della gente del mare sono davvero infinite

Gli strappiamo un prezzaccio e ci facciamo lasciare sull’unica spiaggia dell’isola. Da lì inizia la salita, lungo le mura della fortezza. La vista è incredibile, il sole sta scendendo lentamente. Riusciamo a visitare anche l’abbazia, l’unica fortificata del Mediterraneo e ci sediamo su una panchina per ammirare il tramonto. Complici le nostre curiosità sui capperi che sembrano crescere rigogliosi sulle mura, attacchiamo bottone con una signora che li sta raccogliendo. “Come li conserva?” le chiede Gianluca, che dietro il cipiglio da capitano cela un’anima di botanico, chef e curioso. 

E da lì ci si apre un mondo: la signora è una professoressa di storia dell’arte ed architetto che da sempre passa le sue estati sulle Tremiti e ci regala qualche segreto dell’isola. È affascinante scoprire quanto poco basti a volte per entrare in contatto con qualcun’altro e con informazioni che altrimenti ci sarebbero inaccessibili. Un cuore aperto alla scoperta ne apre mille altri.

belli tra le belle
belli tra le belle

Uno dei migliori aperitivi di sempre: due birre ed un pacchetto di patatine del chioschetto lì vicino, due chiacchiere con i raggi arancioni e poi rosa che ci sfiorano, la luce vesperina che lascia spazio al blu del mare.

La notte ci fa conoscere un altro aspetto di Marianne, sopito fino a quel momento: con un certo tipo di onde si scatena, e le paratie di legno scricchiolano ininterrottamente. Sembra di essere dentro il guscio compresso da un gigante schiaccianoci. Dovremo abituarci… o magari dovremo spostarci a dormire a prua, peccato che sia diventata una specie di ripostiglio…

La mattina successiva è finalmente lunedì, approfittando della vicinanza alle isole e della rete telefonica proviamo a chiamare i velai. Con le mie doti di Mata Hari del web e forte della mia utenza sul forum amici della vela trovo un fornitore che sembra onesto, veloce e professionale: Banks. Ci chiedono qualche foto della vela infortunata e ci danno appuntamento per il mattino successivo. Ci aspetta una lunga smotorata dalle Tremiti a Bari.

Passiamo indenni la diurna, ma ci aspetta al varco la notturna.

Verso le 8, mentre sto per scendere in dinette a preparare qualcosa di caldo, iniziamo a vedere in lontananza i lampi. Stiamo costeggiando la Puglia ma non ci sono porti che potrebbero accoglierci, il più vicino è Vieste ma l’abbiamo superato da 4 ore. Tornare indietro vorrebbe dire perdere tempo ma soprattutto avvicinarci al temporale che sembra proprio essersi fermato a quell’altezza.

E da quel momento inizia un vero e proprio nascondino. Questa volta non possiamo fare affidamento sull’ancora o sullo sfumare del temporale, si vede che le nuvole continuano ad ingigantirsi e caricarsi di elettricità, c’è stato troppo caldo negli ultimi giorni e l’umidità che sentivamo nell’aria dalla mattina ha trovato sfogo.

Gianluca si affida al suo sesto senso ed all’osservazione: sembra che le nuvole si stiano spostando verso sud-est, quindi diamo gas e cerchiamo di avvicinarci alla costa, rimanendone però sempre a distanza di sicurezza. È un azzardo, ma ci rimane solo questo. Dopo due ore di nascondino vediamo le nuvole allontanarsi finalmente, ed i lampi sfogarsi qualche miglio più in là.

Solo il pomeriggio del giorno dopo scopriremo che stavamo assistendo all’inizio di quel maltempo che ha devastato parte delle coste romagnole e marchigiane.

che belle le luci di Bari dopo la tempesta
che belle le luci di Bari dopo la tempesta

Verso le 7 arriviamo finalmente al porto di Bari, come ogni mattina il sole sorge e sembra spazzare via tutta l’inquietudine accumulata tra le tenebre e le onde.

Ci appisoliamo un paio d’ore davanti ad un provvidenziale benzinaio, il nostro marina, il Cus di Bari, potrà accoglierci solo dalle 9 in poi.

Allo scoccare delle 9 Gianluca va a portare la randa ad un’incredibilmente gentile dipendente di Banks, Lilli.

La Lilli non solo viene a domicilio a recuperare la vela ma ci regala anche due biglietti dell’autobus per poter andare a fare un giro in centro (il CUS si trova infatti nei pressi della Fiera del Levante quindi a 30 minuti a piedi circa dalla città vecchia).

Lilli si rivelerà non solo un’ottima pr della sua città ma anche una persona di cuore: il prezzo per il rattoppo della randa è più che onesto e la sua attenzione calorosa ci scalda dopo una notte di timori.

Provo a dormire un po’ ma il caldo si fa sentire, quindi decido che è tempo di grandi pulizie.

Il giorno prima avevo intravisto (e buttato fuori dalla barca) un insetto ed ho letto troppi blog di barcalinghe per non sapere che insetto in barca equivale a tantissimi insetti in barca.

Quindi inizio a pulire e disinfettare con l’aceto ogni scaffale, gavone, contenitore presente sottocoperta.

O la mia pulizia è stata davvero efficace o quell’insetto era un povero ramingo esploratore solitario, sta di fatto che, a distanza di quasi un mese, gli unici esseri viventi a bordo siamo io e Gianluca.

Ma ormai il virus della casalinga perfetta non mi abbandona, laviamo anche Marianne con cura ed andiamo nella lavanderia a gettoni più vicina per fare un po’ di bucato.

Non dimenticherò mai il momento in cui, quasi ipnotizzata dalla centrifuga, mi sono trovata davanti agli occhi tre pezzi di focaccia che Gianluca era andato a comprare al panificio più vicino.

focaccia mon amour
focaccia mon amour

Ma cos’è la focaccia di Bari? Mi vengono le lacrime agli occhi se ci penso. Le dita unte che incontrano la croccantezza perfetta della crosta, quei pomodori che finalmente sanno di pomodori – alla faccia dell’Esselunga di Gae Aulenti. Che bello, il cibo è capace di far stare bene in un attimo.

Il tempo di tornare in barca e prepararci che siamo di nuovo fuori: abbiamo scoperto che in una libreria della zona universitaria uno degli scrittori preferiti di Gianluca presenta il suo nuovo libro. Ed in questa nuova vita, che ti offre sorprese dietro ogni angolo, perché non approfittarne.

 

 

Bjorn Larsson racconta la genesi del suo nuovo libro ad un pubblico stipato all’interno di una piccola e amata libreria (senza aria condizionata). Aspettiamo il nostro turno ed andiamo a farci firmare il frontespizio, scambiamo due parole: anche Bjorn è un navigatore, oggi la sua barca è in Svezia, ci augura buon vento e con una firma sul libro saluta anche Marianne.

Galvanizzati dall’incontro passeggiamo ed arriviamo al molo principale, sotto il teatro Margherita, restaurato da poco.

Peroni e Chiringuito
Peroni e Chiringuito

Al Chiringuito ci sono decine di persone, con due euro prendiamo due Peroni ed ammiriamo quello che ci circonda, tutti sembrano essere rilassati e godere di questo caldo inizio di serata. Avvocati accanto a conclamati fricchettoni, i baresi condividono gli spazi della città senza barriere visibili.

Da lì ci intrufoliamo nei vicoli di Bari vecchia che ci rapisce: bambini che giocano in strada, intere famiglie sedute fuori dall’uscio di casa su sedie di paglia a chiacchierare, il profumo di cibo che esce da ogni porta. Il colore predominante è il giallo caldo delle luci artificiali che si riflette sulle lastre di pietra bianca delle case e delle stradine. 

Troviamo un tavolo in una trattoria del centro ed azzecchiamo tutta l’ordinazione: purea di fave con salsiccia – divina, mi ricorda la mia Sicilia di bambina – la mozzarella quasi tiepida con il pane caldo, che si scioglie in bocca in un’esplosione di sapori veraci e finalmente il famoso riso, patate e cozze. Che gioia, ogni forchettata riempie di gusto la bocca. Il tutto innaffiato da un vino bianco locale  che ci prepara garbatamente al boccone successivo.

È purtroppo già tempo di scappare, dobbiamo prendere l’ultimo bus della sera. Che però non passa, condannandoci a mezz’ora di camminata serale su una sorta di stradone a 4 corsie. Ovviamente, non appena abbandoniamo la fermata, eccolo sfrecciare alla nostra sinistra. Maledetto.

Il tempo di arrivare in barca e si scatena di nuovo il vento, Marianne ondeggia ma niente ci impedirà di dormire stavolta.

Il giorno successivo non facciamo in tempo a svegliarci che esplode la grandinata dell’anno, rintanati sottocoperta guardiamo preoccupati questa grandine a forma di arance che si scaraventa sui nostri pannelli solari, incrociamo le dita. Non possiamo far niente per ripararli, uscire adesso vorrebbe dire rischiare un trauma cranico… 

I nostri dirimpettai riescono a fare un video di questi venti minuti di follia, poi condivideranno con noi il file. Vedere Marianne tenere botta a questa mitragliata di ghiaccio ci stringe il cuore, la barca sembra non aver riportato danni ma dobbiamo aspettare torni il sole per capire se i pannelli hanno retto (spoiler: sebbene ammaccati funzionano ancora perfettamente).

Ed è così che il pomeriggio lo dedichiamo a quelli che affettuosamente chiamiamo sbattimenti: Gianluca crea dal nulla un fantastico circuito dell’acqua salata nel lavello della cucina, potremmo dire che è stato facile e che abbiamo riso e scherzato mentre lavoravamo ma sarebbe una bugia, penso di non aver mai odiato tanto dei maledetti tubi di plastica che devono entrare in un buco sotto il lavello ed uscire da un altro buco in bagno passando da tutti i buchi della sentina.

Approfittiamo della vicinanza ad un cantiere per portare finalmente il nostro fuoribordo Renzo, che ci hanno regalato, fermo da più di dieci anni, a fare la revisione. Siamo contenti, abbiamo sborsato quasi 150€ di manodopera ma abbiamo un tender perfettamente funzionante!

Ulteriore scarpinata fino al supermercato e finalmente si va a letto, il giorno dopo ripartiremo e stavolta si emigra, la Grecia ionica ci aspetta. 

Ma prima di salpare vogliamo comprare della verdura fresca ed è la mattina dopo che incontriamo Nino, con la sua Ape car. Un’età indefinita, più rughe che denti e frutta e verdura a prezzo fisso, tutto 1€ al kg. Compriamo pomodori, fichi (“Lo sa signorina che ai tempi miei i fichi erano il dolce, ce li mettevamo dentro il pane come ora ci mettete la Nutella”), pesche, zucchine, cetrioli e patate.

La frutta e la verdura più buone, saporite e fresche comprate finora. Grazie Nino, anche in Grecia continuiamo a pensarti.

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