Quarta tappa: amarcord della Grecia Ionica
Finisce di piovere e si riparte per il nostro tour nella memoria: andiamo alla riscoperta di Cefalonia, Itaca, Atokos, Paxos ed Antipaxos, isole verdi incastrate nel mare blu.
La nostra prima sosta è a Sivota, una gemma color smeraldo vicinissima a Corfù.
Benché si trovi ad un salto dalla costa ci sembra che il turismo, perlomeno quello che spesso deturpa e costruisce senza nessuna remora, sia ancora rispettoso ed armonizzato al contesto. Scegliamo una piccola baia semideserta con una piscina naturale ed ormeggiamo, per la prima volta, cime a terra.
Ecco, se la presa del gavitello può suscitare perplessità e a volte timore in chi è sprovvisto di manualità, le cime a terra sono vero e proprio motore di angoscia per il povero mozzo che saltabecca tra il salpa ancora ed il timone mentre l’atletico capitano nuota fino a riva per fissare le cime.
Gli ordini, sebbene siano, ne siamo certi, assolutamente giustificati da nozioni di fisica chimica astronomia ed astrologia, appaiono una sequenza simile a quella di un incantesimo di magia nera : “Giù l’ancora, stop, quando tende giù di nuovo, poi vieni in pozzetto, lasca cima marcia indietro marcia avanti giù catena una giravolta preghierina cazza cima fai gassa e tac!”.
Una montagna russa di emozioni mentre gli scogli dietro si avvicinano. Per non parlare del disormeggio: “Il vento ci sposterà verso quella barca mentre io mi trovo chilometri più in là arrampicato su un albero a slegare la cima, ma tu non preoccuparti, al massimo metti marcia senza gas timone al centro e su con la vita!”
Ah ok.
Gianluca è un grande fan delle cime a terra ed io lo guardo con ammirazione, meraviglia ed una punta di sconcerto, un po’ come guarderei un ippogrifo che si palesasse al mio fianco.
Devo ammettere però che passato il quarti d’ora di nevrosi la pace cala su Marianne, la sera è finalmente tempo di lucine sul tendalino, di tovaglia a quadretti e dei primi spaghetti a bordo.
In pratica la versione ionica di Lilli e il vagabondo.
Il giorno dopo circumnavighiamo con Renzo l’isoletta e ne approfittiamo per andare a salutare i nostri amici della polizia portuale, vorremmo delucidazioni sui permessi per la pesca: a quanto pare si può fare tutto gratis senza licenze.
Fonti ufficiali su internet dicono esattamente il contrario ma perché non fidarsi dello scanzonato ufficiale in bermuda?
Torniamo da Marianne e ci rimettiamo in moto, è tempo di raggiungere Paxos.
Gianluca è gasatissimo, riusciamo per la prima volta ad issare il gennaker. Per venti purissimi minuti di gloria (+30 per tirarlo fuori dal gavone sotterrato nei meandri della cabina di prua – + 20 per issarlo).
Veleggiando raggiungiamo Paxos ed entriamo nella baia naturale di Gaios.
Ingresso in due tempi: fase uno meraviglia, fase due accelerazione cardiaca.
Fase uno: arrivando dal mare non ci vede il paesino, letteralmente nascosto da un gomito di mare incorniciato a destra e sinistra da una meravigliosa vegetazione. E poi si gira l’angolo e finalmente appare, all’improvviso, una strada che costeggia l’acqua e, grazie ad una chiesa, diventa paese.
Fase due, l’adrenalina. Sono circa le 5 di pomeriggio ed è il momento di maggior movimento di barche, che rientrano dopo la giornata fuori. Anche in porto, come nelle baie, si butta ancora e si danno le cime a terra, di conseguenza quando c’è più “traffico” il rischio principale è calare l’ancora su quella di un’altra barca. E mentre noi cerchiamo di ormeggiare il mondo si muove veloce attorno:
un energumeno sopra un motoscafo ormeggiato inizia ad inveire contro una barca a vela che ha tirato giù l’ancora sopra la sua, i nostri vicini si sistemano in loggione di teatro per verificare che le nostre manovre siano appropriate (umarel marino mood “on”), la corrente inizia a spingerci nella direzione sbagliata, una barchetta di legno passa dietro la nostra poppa mentre siamo in retromarcia.
In pratica sembra di essere in tangenziale a Milano, però in più si può spiare benissimo quello che accade e che si dice dentro le altre macchine.
L’osservazione della società di vacanzieri marittimi barcaioli è uno dei miei passatempi preferiti: da dove vengono? dove stanno andando? da quanto sono in viaggio?
Alla nostra sinistra un motoscafo da cui iniziano a scendere donne in abito lungo e tacchi, alla nostra destra una barca a vela di italiani che iniziano a litigare sul mettere o meno la passerella per scendere a terra: “Ho paura!” “Vedrai che è più facile che saltare” “No, io non scendo!”.
E noi diamo il nostro contributo a questo circo umano facendoci una doccia a prua grazie ai nostri sacchi da campeggio che si scaldano al sole. E dire che pare che ci siano delle docce vere da qualche parte…
La banchina è sulla via centrale del paese, che incrocia la solita piazza greca corredata di chiesa ortodossa (e fedeli) e stradine di trattorie e negozi di borse intrecciate. Gianluca è colpito da quanto anche qui sia arrivato il turismo: tutti i locali sono curati, le sedie di paglia, le luci, i menu in inglese, i supermercati ed i negozi di cover per cellulari. I villaggi sono cambiati molto negli ultimi 25 anni (e sarebbe effettivamente incredibile il contrario).
Rimane però un turismo essenzialmente educato, di chiacchiere di fronte ad un ouzo e di passeggiate alla ricerca di un gelato.
Con un ma. Un gigantesco MA. L’unico minuscolo locale di tutta Gaios che fa musica fino a tardi è quello dietro la nostra poppa. Praticamente un prolungamento della nostra cabina. Torniamo in barca dopo una passeggiata ed eccola, una massa sudata semi-nuda ed urlante di ragazzotti inglesi completamente ubriachi che sbraitano ballando sul bancone del bar. Oggi è Natale per i proprietari. Si continua fino alle 3.
Via, si scappa da Gaios e si raggiunge Antipaxos. Le prime due baie ci sono ostili, troppi giganteschi motoscafi, non c’è spazio per noi, iniziamo a disperare e a filosofeggiare, non c’è più niente da scoprire, dura la vita per chi è nato in epoca Ryan Air…
Ma chi la dura la vince e dietro uno scoglio ecco la baia perfetta per noi, poche barche, fondali bassi, riparata dal vento, zero luci, una piccolissima spiaggia con una barchetta di legno capovolta, le grotte alle nostre spalle.
Forse per la prima volta da quando siamo partiti inizio a ritrovare la calma che mi aveva sempre donato la barca a vela.
Prima di partire tra me e me avevo stilato l’elenco di quello che avrei fatto, di quello che sarei diventata: farò yoga, mediterò, scriverò, disegnerò. Non mi farò pervadere dall’ira e respirerò profondamente. Sarò aperta e libera. Sarò me stessa ma meglio.
E invece fino ad oggi mi è sembrato di essere il criceto nella ruota, sono stata preoccupata (spesso), indaffarata (sempre), stanca (quotidianamente), pensierosa e tesa.
So di non essere una persona naturalmente coraggiosa, sono sempre stata prudente (seppur con buchi di totale mancanza di senno) e con questo viaggio ogni giorno faccio i conti con qualcosa che non conosco e che potrebbe essere potenzialmente dannoso. Il vento, la corrente, la marea, gli scogli, le altre barche, la nostra barca, la stanchezza che ti fa sbagliare, i nodi…
È una sfida quotidiana ed in questa sfida mi son dimenticata di darmi tregua!
Ma non oggi: tutto quello che c’è attorno a me mi dice fermati, respira, goditela.
E lo faccio. E mi sento pienamente dove devo essere.
Nel frattempo uno skipper dietro di me prova a pescare e mi sembra stia parecchio bene anche lui.
Da Antipaxos ripartiamo verso Cefalonia, e facciamo la nostra unica sosta nella costa ovest ad Assos. Il vento prevalente delle isole ioniche è il nord-ovest, di conseguenza in barca si è decisamente più sereni sulla costa est.
Però abbiamo trovato dei vecchi ed accuratissimi, meravigliosi consigli del papà di Gianluca scritti su delle mappe all’interno di un portolano, ed Assos figurava tra le tappe.
Ed è stata un’ottima decisione: una baia protetta che nasconde un paesino colorato ed alberato, alle spalle della barca un promontorio, quello dell’antica fortezza veneziana.
Ci mettiamo le scarpe da ginnastica ed iniziamo a salire.
Siamo senza fiato dopo dieci minuti, la vita in barca ci ha disabituati all’attività aerobica.
Dopo altri dieci minuti siamo completamente sudati, la vita in barca ci ha anche disabituati al caldo.
Altri dieci minuti ed arriviamo in cima, ne valeva la pena. Le rovine della fortezza sono per l’appunto rovine ma tutt’attorno il mirabile panorama, che si estende da est ad ovest, il mare sotto le scogliere, qualche belato di pecora in lontananza, i sassi sdrucciolevoli, le vertigini, le barche dei pescatori, il cielo che inizia a tingersi di rosa. Assos ci ha fatti innamorare.
Vicino ad Assos la più che nota Myrtos Beach con le sue acque celesti, un tuffo e si riparte per il nord dell’isola, direzione Fiskardo.
L’unico centro abitato di Cefalonia risparmiato, pare grazie al terreno d’argilla che ha meglio sopportato il sisma, dal terremoto degli anni ’50 che ha devastato l’isola.
Troviamo riparo nella baia di Foki, poco distante dal porto, sembra quasi di essere in montagna: pini e cipressi verdissimi che rendono verde anche l’acqua, grotte e tuffi.
Lezioni di tender per me mentre scendiamo a terra ed arriviamo a Fiskardo, che sembra la cugina ionica delle cittadine della Costa Azzurra, un susseguirsi elegante di yacht a sinistra e ristoranti con prezzi milanesi a destra. Per noi solo un ouzo e un wifi, grazie.
Tappa successiva Itaca. E per una diplomata al liceo classico, laureata in lettere è sempre molto emozionante toccare le sponde di quell’isola di cui impari la metrica quando hai 16 anni. Anche se dicono che forse Itaca non fosse davvero la Itaca di Ulisse io decido che, per me, oggi, è quello che voglio che sia. E scendiamo a terra pensando alle traversate, ai decenni di navigazioni per tornare a casa, a come per noi casa oggi sia qualsiasi ancoraggio sicuro.
Sfioriamo Frikes per un po’ di cambusa ma quasi quasi non sarebbe servita: lo skipper dopo anni torna ad indossare la sua muta ed inizia a scendere sempre più giù. Mangiamo il nostro primo sarago, uno dei due continua a sbadigliare, gli sforzi della pesca in apnea dopo dieci anni si fanno sentire.
La mattina dopo c’è un vero e proprio ritorno sul luogo del delitto: ci dirigiamo ad Atokos, la piccola isola di fronte a Frikes, con la sua One house bay. È qui che esattamente tre anni fa lo skipper, durante una flottiglia, mi chiese di esplorare con lui la baia, dopo 5 passi eravamo di fronte ad una piccola chiesa che sembrava abbandonata, dopo altri 5 davanti ad una casa altrettanto abbandonata. E dopo la visita culturale mi aveva insegnato a fa saltare i sassi piatti sul pelo dell’acqua.
Ed oggi torniamo alla chiesa, suoniamo le campane a festa e riprovo a far fare più di due salti al sasso. Non sono migliorata molto ma guarda un po’ in tre anni cosa abbiamo fatto. Amarcord.
E dal romanticismo alla concretezza: il giorno dopo si ritorna ad Itaca, a Vathi. Dobbiamo infatti fare un po’ di shopping: chi l’avrebbe mai detto che avremmo sentito così impellente il bisogno di comprare una bindella metrica?
Ma abbiamo deciso che non possiamo continuare a vivere nell’ansia che le vele non reggano. Abbiamo forse anche posticipato un po’ troppo ma ormai è tempo, prima della traversata abbiamo bisogno di vele nuove.
Valutiamo fornitori, piangiamo perché sono tutti carissimi, ci diamo pacche sulla schiena a vicenda, ci facciamo forza e le ordiniamo. Cambieremo sia il genoa (da 150% a 135%) che la randa.
Attracchiamo alla solita banchina cittadina e scendiamo, sorpresa: i negozi riaprono alle 17.
E quindi divoriamo la prima (ed ultima) pita ed il primo (ed ultimo) Nescafè Frappè che senza è Grecia solo a metà.
Bindella recuperata, ci spostiamo in una fantastica baia isolata. Ma niente relax, mica siamo in vacanza!
Abbiamo deciso, in un chiaro impeto di masochismo, di lavare il teak con tutte le fatiche correlate, tra cui Gianluca che per raffreddarlo riempie e svuota almeno 100 volte il secchio con acqua di mare.
Non contenti la mattina dopo, prima che il sole inizi davvero a bruciare, prendiamo le misure (tutte le misure possibili ed immaginabili) con la mitica bindella (ieri non ti conoscevo, oggi sei la mia migliore amica). Ovviamente litighiamo, perché come si fa a non litigare quando per 4 ore strisci pancia a terra per misurare boma – strallo, strallo – carrello, carrello – paterazzo e via così? E hai paura di aver scritto un numero o una virgola sbagliati e di ritrovarti con un genoa che, al massimo, può farti da pareo.
Però non possiamo continuare a discutere, la sera siamo diretti a Sami, il paesino dove tre anni prima io ubriaca di vino e mal di terra ho ubriacato anche Gianluca, seduti su una panchina fino all’alba.
Il caso è potentissimo qualche volta e ti sbatte in faccia la tua storia: il marinaio del porticciolo ci fa ancorare esattamente davanti al ristorante di tre anni fa, la taverna di Stavros.
Come ogni volta che siamo in porto laviamo la barca (e noi stessi) e conosciamo i nostri vicini, a destra una coppia di sardi che ci consiglia un marina a Cagliari, a sinistra la barca a vela “Tuttoèpossibile”, con tre ragazzi a bordo.
Il proprietario della barca, Bledar, ci invita da lui dopo cena per un giro di grappa albanese, il raki, trasparente ed assassino. Ma un incontro in barca, suggellato dalle note della grappa, non può che essere un incontro fortunato.
Bledar, con il suo sorriso gentile, il suo amore sfrenato per la barca a vela e quel senso di ospitalità che ti fa sentire bene in un attimo, ci piace (anche se ha criticato la pulizia del teak da precisino qual è e non l’ho presa benissimo!).
Il giorno dopo ci da una mano ad issare Gianluca in testa d’albero per un check dell’anemometro.
Le nostre strade si dividono, Bledar ed i suoi ospiti continuano verso nord, per noi è tempo di iniziare ad andare verso sud per lasciarci alle spalle la Grecia.
Ma le strade del mare sono infinite e dopo un paio di giorni ci ritroviamo in una piccola e meravigliosa azzurra baia poco prima di Paros, dove mangiamo tutti assieme, sfruttando anche la pesca miracolosa del giorno prima di Gianluca, un dentice di almeno 3 chili, il re dei dentici!
E’ nuovamente tempo di ripartire, dobbiamo essere in Sardegna tra due settimane e vorremmo fare tappa a Scilla e ad Ustica, prepariamo la barca ed alle otto di mattina si torna a veleggiare con la solita emozione che precede le lunghe traversate.
2 commenti
domenico
Bellissimi i racconti del vs viaggio, vi ho ascoltato per caso in radio e ho deciso di vedere il blog, e ora non vedo l’ora di leggere le vostre prossime avventure! Buona fortuna per tutto ciao Domenico
SV Marianne
Grazie Domenico, che belle parole! Ci dai una gran carica per continuare il nostro diario di viaggio, speriamo di continuare ad appassionarti!