Terza tappa: tzatziki ed ouzo, finalmente in Grecia
La veleggiata da Bari alla Grecia inizia in mattinata, il mare è ancora grosso dal maltempo dei giorni precedenti ma il cielo è sereno, il vento ci permette di veleggiare per gran parte delle trenta ore che abbiamo davanti.
Facciamo i conti con un’onda un po’ fastidiosa (soprattutto se con l’arroganza del neofita fai il gradasso e rimani sottocoperta per la prima mezz’ora rovinando il tuo labirinto…) ma il tempo vola.
Il tramonto spettacolare e limpidissimo alle spalle, la cena in navigazione (lo chef in dinette propone polpette di patate lesse e tonno con senape) e in un attimo si fa buio.
Partono i soliti turni di notturna e si arriva in tarda mattinata ad Erikoussa, la prima isola della Grecia che si incontra arrivando dal nord.
La baia è quasi deserta, il cielo plumbeo e di sera si balla un po’.
L’isola deve il suo nome all’erica che cresce spontanea sul terreno e che, dalla barca, cerchiamo di individuare. Iniziamo a fare amicizia con il paesaggio ionico, questa non è la Grecia delle case bianche e pittoresche da cartolina, ma la Grecia delle isole a volte brulle ma sempre incredibilmente potenti nei loro colori: il verde intenso della macchia mediterranea, i mille blu dell’acqua, le scogliere a volte di pietra grigia a volte rossa.
Il giorno dopo facciamo rotta verso Corfù. L’idea è quella di navigare poi in direzione di Cefalonia ed Itaca.
Costeggiamo Corfù, ammirando a sinistra il profilo montuoso dell’Albania.
Ci fermiamo per la notte in una piccola baia con la spiaggia che va svuotandosi e con una piccola trattoria dall’umile nome “the White House”.
E come in una perfetta equazione la spiaggia si svuota, la baia si riempie. Iniziano ad arrivare barche a vela, catamarani, motoscafi, pedalo, kayak.
La popolazione di diportisti si prepara per la notte.
Ed è qui che assisto all’emozionante trasformazione: ero partita con un giovane e gagliardo skipper, mi ritrovo in barca con un umarel imbruttito (tremenda manipolazione genetica che prende l’amore incondizionato dell’anziano bolognese per i cantieri, lo trasla in ambito nautico e ci aggiunge una spolverata di arroganza ed imbruttimento milanese): “Feeega ma con tutto il posto che c’è proprio qua ti devi mettere? Feeeega lì c’è la mia ancora! Feeega ma quella è una patta d’oca secondo te?Ahah. Feeega ma quanti sono su quel barchino? Feeega ma non vedi che stai arando??”.
Il tutto rigorosamente con mani intrecciate dietro la schiena, il mezzo marinaio roteato stile jujitsu, sguardo acuminato e dita pronte ad amplificare il fischio per mettere in guarda il malcapitato vicino.
Riesco a legare il nuovo Gianluca all’albero, gli metto in mano una birra e passiamo la notte senza spargimenti di sangue.
La mattina dopo si riparte, poche miglia per raggiungere Gouvia Marina, il porto poco prima di old town dove sarà possibile fare i documenti di ingresso in Grecia e carburante.
Poche miglia ma ragazzi, che sferzata.
Venti nodi (di bolina ça va sans dire), costeggiando Corfù.
Il marina si trova in una grande baia dove entrando ammainiamo le vele. Ed è lì, nel passaggio da vele a motore, che Gianluca si accorge che c’è qualcosa che non va, non entrano più le marce. Teniamo sempre a mente che i 20 nodi sono tutti lì a soffiare.
Mentre io rimango al timone, Gianluca scende ed inizia ad armeggiare sul motore ma pare tutto sia perfettamente funzionante, chiama il meccanico di Chioggia per chiedergli consiglio, il meccanico suggerisce qualcosa, io vedo Gianluca che esce, in costume, si tuffa in acqua e risale a bordo dopo un minuto “Abbiamo perso l’elica” è l’esito. Bene, io pensavo fosse impossibile, un po’ come se guidando mi rimanesse in mano il volante…
E mentre io inizio a prefigurare gli scenari più apocalittici (Marianne che spinta dal vento vola sopra il catamarano da 1.000.000 di euro davanti a noi, Marianne che spinta dal vento vola sul motoscafo da 2.000.000 di euro dietro di noi e via così) lo skipper issa la randa ed inizia a bordeggiare per entrare in baia. E così diamo ancora, con 20 nodi, a vela. Che bravezza.
Gianluca si immerge subito dopo e riesce a montare la seconda elica che avevamo a bordo.
Io finisco di iperventilare e di chiedere ossessivamente: “Ma come l’abbiamo persa? Come? Eh?eh?” e finalmente possiamo entrare in marina.
Riusciamo ad ottenere un transito gratuito in banchina e ci avviamo verso gli uffici portuali per i documenti.
Parentesi utile ai diportisti: per poter navigare in acque greche bisogna pagare due tasse, una di valore fisso (il Dekpa, circa 50€), l’altra con valore proporzionato ai giorni che si intendono passare nel paese e alle dimensioni della barca (il Tepai). Si apre il momento “le 12 fatiche di Asterix” meglio noto come “il castello di Kafka”.
Il Dekpa lo paghiamo in 10 secondi netti (ovviamente cash perché non accettano carte) all’ufficio della marina, da lì andiamo al Port Authority dove scopriamo che il Dekpa in teoria l’avremmo dovuto pagare solo dopo aver terminato le procedure per il Tepai, che però non si può pagare direttamente in loco, va prima compilato un modulo su Internet in cui si autocertifica il tipo di barca ed il periodo, una volta ultimata la pratica, con il numero di incartamento da inserire in causale, si può fare il bonifico alla polizia portuale.
Al Port Authority va quindi portato (stampato – e chi non ha una stampante in barca?) il modulo corredato da copia del bonifico.
Torniamo in barca, compiliamo il modulo, facciamo il bonifico (ovviamente con pc perché il sito Tepai non funziona con dispositivi Apple) e torniamo negli uffici dove mossi a compassione ci stampano tutti i documenti (che comunque avevano già in formato digitale nella loro mail), e compilano un plico spesso quanto la trilogia di Tolkien di cui ci daranno una copia.
Insomma: il Tepai ci è costato 30€, al governo greco 40 tra carta, toner e ore lavoro del funzionario…. ovviamente la trafila vale per tutti quelli in coda quindi ci mettiamo circa 3 ore.
Fuori dall’ufficio si creano alleanze tra postulanti, amicizie e credo che sia scoppiato anche qualche amore.
Noi conosciamo una giovane coppia svizzera, lei è lo skipper, hanno da 5 anni la barca in Grecia e lui ci racconta di una tremenda notte di qualche giorno prima durante la quale, mentre erano in baia, il vento è montato a 50 nodi e sono riusciti per un soffio a salvare la barca da altre barche che stavano arando.
I racconti di terrore tra velisti sono fighissimi ed io mi sento già una veterana. Un po’ come mostrarsi a vicenda le cicatrici di guerra (detto che io confido fortemente in una lunghissima tregua eh).
Dopo ore a sudare e correre ci concediamo il primo pasto greco che più greco non si può, Gianluca tra la cipolla dell’insalata e l’aglio dello tzatziki è ormai diventato cittadino onorario.
Scappiamo dal mondo della burocrazia ed andiamo verso Corfù old town, decidiamo di dare ancora nella baia subito dopo il promontorio del vecchio forte. Scelta perfetta: il mare è calmo, le altre barche a distanza di sicurezza, la città si raggiunge in dieci minuti a piedi.
Finalmente siamo stanziali per due notti nello stesso posto, sono emozionata!
Inauguriamo Renzo e tra fanfare e squilli di tromba raggiungiamo la riva.
Per la prima volta lasciamo Marianne da sola in una baia e Renzo da solo in un approdo, per fortuna la passeggiata per arrivare in centro è una dolce salita che costeggia il mare quindi Gianluca può continuare a lanciare occhiate furtive ed apprensive per tutto il tempo, sembra una mamma che guarda con amore preoccupato il figlioletto che entra a scuola il primo giorno di elementari.
E non manca l’orgoglio!
“Hai visto quanto e bella?? è la più bella di tutte vero? Guarda che forme! Com’é sinuosa, che eleganza!“
Ogni volta penso che se un passante ascoltasse di sfuggita potrebbe tranquillamente scambiarci per una coppia che si prepara ad un ménage à trois…
Raggiungiamo i giardini di Corfù, uno spazio verde che ricorda città ed atmosfere lontane: Corfù è un incredibile incontro di storie, culture e dominazioni.
Una delle poche isole della Grecia ionica a non aver mai subito l’invasione araba, porta però le tracce evidenti della dominazione veneziana, inglese e francese. Boulevard che si incrociano con palazzi del potere britannici, portici veneziani e piazze segrete. Peccato per i cinquemila negozietti di souvenir tutti uguali che sono disseminati nella città. Basta però inerpicarsi e perdersi un po’ per trovare l’anima di Corfù, basterebbe anche alzare lo sguardo, dimenticare il piano terra degli edifici ed ammirare dal primo piano in su.
Il giorno dopo (mi verrebbe da dire per fortuna) piove per buona parte della mattina e del pomeriggio.
Ma quante cose si possono fare in una giornata di pioggia in barca?
Studiare, sistemare, controllare, telefonare alle famiglie, organizzare pasti e tappe, dormire…
Ci sarebbe quasi bisogno di un giorno di pioggia alla settimana… Sia chiaro, pioggia delicata senza grandine, lampi o tuoni.
Possiamo ricaricarci un po’ e parlare con calma, senza dover per forza gestire un inconveniente o un’emergenza. Possiamo provare a tirare le fila di come è andata fin qui.
C’è quasi del timore, o del pudore, nel parlare apertamente di come sta andando il viaggio, ci portiamo dietro quasi inconsapevolmente un bagaglio di aspettative e si sa, le aspettative si divertono ad essere il macigno più pesante ed il convitato di pietra più ingombrante, spesso fanno vacillare equilibri ben più saldi del nostro che è ancora in fase neonatale.
L’arrivo in mare greco riuniva tanti significati:
Finalmente avremmo preso la mano con la navigazione
Finalmente avremmo preso la mano con l’anno sabbatico
Finalmente arriviamo nelle baie dove si può dare ancora
Finalmente si torna nel paese dove lo skipper ha passato le sue vacanze estive di bambino e adolescente
Finalmente torniamo dove ci siamo conosciuti
Però poi ci si scontra con la realtà: da quasi un mese stiamo correndo senza mai fermarci, ogni due giorni c’è qualcosa da gestire (maltempo, malfunzionamenti, malesseri, malintesi), il tempo sembra volare e noi non riusciamo a prendere il ritmo.
Io vorrei dormire 20 ore al giorno, Gianluca non appena tocca una baia è pronto per saltare ad un’altra. Abbiamo un programma ambizioso davanti e ci stiamo chiedendo se fosse l’unico modo per gestire i tempi.
Insomma, abbiamo bisogno di sederci, respirare e discutere.
Meno male che piove.
3 commenti
Diana
Brava!!! divertente e avvincente. Meglio de “gli anni della leggerezza”
Maurizio
Ottimo inizio, che bella avventura che state vivendo, coraggiosi, congratulazioni, spero di seguirvi nel vostro giroveleggiare, magari poter condividere una porzione di mare con voi. buon vento.
Giovanna
A proposito dell’elica che avevate a bordo, avrei aggiunto grazie alla lungimiranza del vecchio proprietario ! Ciaoooo