Viaggio

Settima tappa: Minorca ed il suo lungo abbraccio

Ciao Spagna, siamo arrivati!

Le Baleari ci attendono e le immaginiamo come pietre preziose in un mare calmo. Nei primi mesi di preparazione e riscaldamento in vista della traversata, questa tappa l’abbiamo pensata come quella dedicata completamente all’ozio.

Abbiamo davanti quasi un mese da trascorrere tra Minorca, Ibiza, Formentera e Maiorca. Un mese per godere di un mare caldo, di un sole morbido e dei vizi della Spagna gastronomica.

Il benvenuto che ci da Minorca non potrebbe essere dei migliori: scegliamo di atterrare con Marianne nella grande baia alle porte di Mahon, la città a sud-est dell’isola. Entriamo in rada al tramonto, dando le spalle all’isola del Lazzaretto. Questa baia, un tempo destinata alle barche in quarantena, oggi ci accoglie con la melodia di chitarra e voce. Sulla prua di un’altra barca, ancorata poco più in là, è allestito un minuscolo palcoscenico che ospita un cantante, a bordo qualche velista e tutte le altre barche approfittano di questo spettacolo inatteso. Una magia che fa da accompagnamento al nostro piatto di pasta fuori misura, la ricetta del cuore che ci regaliamo dopo ogni traversata.

L’ingresso nel porto di Mahon il giorno successivo mi stupisce, la città è arroccata in alto, nascosta da una profondissima baia in cui si susseguono ville e marine. Inoltre in questi giorni si disputa la Copa del Rey, abbiamo quindi l’onore, e l’onere, di entrare in porto attraccando accanto a dei gioielli di inizio secolo, barche a vela blu e dorate, equipaggi che lucidano ottoni e casse di viveri che aspettano di essere caricate. Mahon è in fermento.

Che scoperta Minorca, chissà perché l’avevo sempre considerata snaturata, dissacrata da palazzoni, bar tutti uguali e hotel vista mare. Invece si apre davanti a noi un’isola splendida.

Mahon rimane molto turistica, ma questo non ci impedisce di scoprire un localino dove mangeremo le tapas più buone di questa tappa (Can Xavì – per i posteri), tanto spartano quanto gustoso. Ci perdiamo nelle stradine del centro e in quelle un po’ più periferiche, scoprendo giardini interni, murales e negozi per cavallerizzi (dalla fiesta de Gracia con il tradizionale jaleo dedicato ai cavalli minorchini che entrano addirittura dentro le case e trottano sugli scalini, come il mitico cavallo di Pippi Calzelunghe, al percorso di trekking chiamato Camí de Cavalls, il richiamo equestre è fortissimo in quest’isola).

E poi musica, musica ovunque. Davanti ai bar spettacoli dal vivo, nel bellissimo chiostro del mercato balliamo fino a tarda notte, tanto da dover mangiare assolutamente una crêpe alla nutella prima di andare a letto.

mossa ma felice

Minorca è un’isola lunga e stretta, questo vuol dire che le baie a sud sono vietate con i venti meridionali e viceversa. Insomma, una volta che si sceglie un lato dell’isola bisogna giurargli amore eterno perché per scapolare ci potrebbero volere dalle 4 ore in su.

Noi partiamo dal sud, visto che nei giorni successivi danno un vento costante (e crescente in intensità) da nord. Così forte sarà questo vento che ci impedirà tra l’altro di visitare il resto delle Baleari, sferzate addirittura da trombe d’aria.

Ogni mattina, quando ci svegliamo, la daily routine prevede lo studio accurato di almeno tre diverse app di vento e meteo. Una volta sicuri che la maggioranza delle fonti sia concorde si prendono in mano i due nostri migliori amici, il portolano e Navionics, ed iniziamo a studiare, con cura certosina, gli approdi e le baie dove il meteo ci consente di buttare ancora. Si scartano le baie troppo piccole, quelle che sicuramente saranno troppo affollate, quelle che non offrono un piano B (ossia, se gira il vento siamo ancora ragionevolmente sereni o dobbiamo preoccuparci?).

Fatta la scelta si parte, sempre comunque pronti a ricrederci lungo il percorso.

Non timono mai senza la mia Lacoste!
che fragranza…
ecco cosa succede quando ti arrampichi per la prima volta dopo due mesi

La prima settimana scorre tra piccole e grandi meraviglie: Gianluca fa il pane ed al terzo tentativo wow! e torna finalmente a pescare. Scoppia un temporale estivo in una minuscola baia in cui ci siamo ancorati per il pomeriggio e non appena smette di piovere le cascate scorrono già dalle rocce. Scendiamo a terra a nuoto ed iniziamo a fraternizzare con il Camí de Cavalls, che si snoda per tutto il perimetro dell’isola, tra sentieri sterrati, sabbia, pietra e pinete. Familiarizziamo con quella che diventerà la nostra baia preferita, quella dove abbiamo trovato l’acqua più cristallina, la sabbia più fine e i sentieri più avventurosi, dove per telefonare dovevamo arrampicarci sulla scogliera. Io stringo una relazione quasi amorosa con Renzo, il tender. Imparo a gestire i suoi colpi di testa e soprattutto ad avvicinarmi a Marianne senza tamponare ogni volta la spiaggetta con violenza.

Litighiamo e ci riappacifichiamo, dopo qualche giorno in compagnia di Davide torniamo ad essere soli a bordo di Marianne e abbiamo bisogno di un po’ di tempo per distendere nervi e pensieri.

Spesso ci chiedono come sia vivere in due questa avventura, stretti in dieci metri quadrati.

Per quello che mi riguarda la mancanza di spazio non è mai stata (fino ad ora) né causa di nuovi dissapori né benzina per alimentare i vecchi e non lo trovo (purtroppo) neanche un deterrente alla discussione…

Più che la troppa vicinanza fisica quella che pesa a volte è, paradossalmente, la distanza emotiva. Si creano delle sacche di incomprensione che sarebbe vitale svuotare immediatamente ma che per pigrizia, stanchezza, nervosismo, orgoglio o mancanza di un linguaggio comune si lasciano lì, ospiti indesiderati a bordo.

Sarebbe estremamente più saggio e maturo affrontare subito l’elefante nella stanza, ma spesso il problema è che in un contesto così completamente nuovo, si fa tanta fatica anche ad intercettare e dare un nome ai propri pensieri. Per non parlare poi di quando si teme di dire qualcosa di scomodo e quindi si tace, appesantendo lo spirito.

Insomma Minorca ci da anche modo di ri-assemblarci lasciando indietro un po’ di scorie.

Ma come si fa a non riappacificarsi di fronte a questi spettacoli?

E poi stiamo per ospitare a bordo la mia amica-sorella Giuliana e suo marito Christian, arriveranno da Londra per gustarsi qualche giorno con Marianne e con noi.

È la prima volta, da quando siamo partiti, che degli amici vengono a trovarci, io sono decisamente emozionata, sovreccitata come i bambini il sabato quando sanno che la domenica andranno sulle giostre.

Finalmente degli amici a cui parlare delle meraviglie che stiamo vivendo ma anche delle difficoltà, delle malinconie, delle nostalgie. Persone che non solo ci vogliono bene ma che vogliono bene anche a questo nostro sogno.

Da una settimana li tranquillizzo e galvanizzo: ci sono 40 gradi, facciamo ancora il bagno, quando il sole scende basta una maglia a maniche lunghe.

Ovviamente la sera prima del loro arrivo il tempo cambia improvvisamente, nuvoloni, pioggia, cielo grigio, onde alte e in faccia.

Torniamo a Mahon per accoglierli in porto e quella che poteva essere una rilassante veleggiata di un paio d’ore diventa una bolina con 20 nodi di vento ed oltre, onda al traverso di 3 metri e, come se non bastasse, per la prima ed unica volta, ci dimentichiamo aperta la presa a mare del bagno. Quando scendo per recuperare al volo un windstopper mi accorgo che l’acqua in dinette mi arriva quasi alla caviglia. Vorrei piangere, la barca è completamente inclinata, nello scendere gli scalini sono scivolata ed ho sbattuto il sopracciglio sul tientibene, e per asciugare tutta quell’acqua mista ad altro (…) ci vorrà chissà quanto. Un lavoro indegno. Nel frattempo fuori continuiamo a prendere schiaffi in faccia. Arriveremo in porto a Mahon completamente bagnati, sporchi ed anche un po’ abbattuti. Eliminare definitivamente l’acqua dalla sentina è impossibile, chissà per quanto tempo ci ritroveremo ad asciugare sotto il pagliolato…

Ma eccoli, si avvicinano coloratissimi camminando sul lungo porto. Giuliana e Christian arrivano e ci scortano in un lungo fine settimana di serenità. Da veri locals li accompagniamo in giro per la città, litighiamo col gelataio italiano razzista e assaggiamo il drink locale, la pomada, un gin lemon made in Minorca.

Ma guarda che belli

Ci raccontiamo le ultime avventure e le recenti scoperte, i progressi di Emilia, la loro bimba, le feste hippy di Londra. Ridiamo su quella pioggerellina che alla fine non ci sta rovinando più di tanto i programmi e ripartiamo direzione sud-ovest, vorremmo ripercorrere con loro la costa meridionale dell’isola, fino ad arrivare a quella settentrionale prima di lasciarli a Ciutadella.

A sud riscopriamo Cala Blanca e mentre Christian riposa a bordo di Marianne, Gianluca, Giuliana ed io ci avventuriamo tra tender e sentieri con le rocce più invise all’uomo (ed ai nostri piedi nudi), rocce che fanno un incredibile effetto grip e non ci lasciano staccare la pianta del piede dalla superficie artigliante. Una via crucis per arrivare ad una perfetta minuscola spiaggia dalla sabbia rosa dove ci bagniamo i (martoriati) piedi.

Il giorno dopo è la volta di Macarella, una baia turchese con una capretta a fare da guardia alla spiaggia.

E si riparte verso il nord, oltrepassiamo Ciutadella, sulla punta più occidentale dell’isola e cerchiamo di capire dove potremmo attraccare.

Se le baie del sud sono generalmente incastonate nel verde, in baie che degradano dolcemente verso il mare, gli ancoraggi del nord sono invece caratterizzati da maestose scogliere dove le onde vanno ad infrangersi schiumando. Trovare un ancoraggio diventa quindi una sfida ma dopo qualche tentativo scegliamo Cala Algaiarens, è quasi deserta, spaziosa e l’acqua è fantastica (tralasciando un piccolo problema di meduse). Ci sono due ampie spiagge, scendiamo a terra per una passeggiata tra la sabbia dorata e le canne al vento di deleddiana memoria.

Il nudismo è uno stile di vita molto condiviso qui a Minorca, una libertà che si esprime nel gesto più semplice del mondo ma che ancora oggi ci fa sorridere maliziosi o arrossire vergognosi e ti ritrovi a chiederti se, proprio come dicevano le nonne, la malizia stia nell’occhio di chi guarda.

Ritratto romantico dell’artista

Il mondo che ci circonda è però decisamente un mondo meno incasellato e obbligato in maglie strette di “si deve fare così”. Famiglie intere che vivono in barca, che si può essere d’accordo o meno ma certo non si possono non ammirare. Bambini che gattonano in un prato sporchi di fango dalla testa ai piedi. I bar del più piccolo tra i paesi dove si trova sempre qualcuno che beve un caffè con leche a qualsiasi ora. Aperitivi a base di cañas e sigarette tra coppie di pensionati.

L’impressione generale è che la vita sonnecchiante e naturale dell’isola abbia permeato anche i suoi abitanti.

Mentre Giuliana si accaparra il kajak pagaiando con un’eleganza che non credevo potesse essere associata a questo sport, Christian si porta a casa il souvenir di una bruciatura di piccola medusa sul braccio.

La sera mangiamo il pesce che Gianluca ha pescato ed alle nove e mezza iniziamo a sbadigliare. Sarà che ormai siamo più sui quaranta che sui trenta, sarà che, signora mia, l’aria di mare stanca, sarà che loro due stanno staccando completamente dalla vita londinese ma queste notti in rada di mare calmo sono come coperte morbide in cui ci accoccoliamo per poi svegliarci la mattina e fare colazione in pozzetto, mentre il sole inizia a scaldarci.

Giuliana ha seguito sin dai primissimi passi questa nostra avventura. Tre anni fa, appena conosciuto Gianluca, le avevo telefonato e le avevo raccontato con il sorriso sulle labbra di quel ragazzo che voleva fare un giro attorno al mondo in barca a vela. E neanche a farlo apposta proprio in quel periodo Giuliana aveva deciso di prendere la patente nautica e, perché no, di imbarcarsi in un’avventura simile. Quindi quando qualche mese fa l’abbiamo avvertita “guarda che stiamo per farlo, molliamo gli ormeggi” si è entusiasmata come solo i veri amici sanno fare (e io un po’ glielo dedico questo viaggio).

La civiltà però ci chiama, e soprattutto l’aereo di ritorno. Ci mettiamo in viaggio per rientrare a Ciutadella e di nuovo abbiamo il meteo contro. Contemporaneamente incappiamo in: temporale, pioggia, onde di qualche metro, vento trenta nodi, per fortuna stavolta almeno di poppa. Quattro ore che ci permettono di utilizzare per la prima volta le nostre cerate e di arrivare a Ciutadella con un discreto appetito. Ricorderò per molti giorni la diapositiva di Giuliana che dice “bello, un po’ di avventura!” con troppo entusiasmo, accanto alla diapositiva della sua faccia un’oretta più tardi quando arrivavano le onde (lei le aveva in fronte, io per fortuna davo le spalle, sono del team: preferisco non sapere).

Quando ancora sembrava una scampagnata divertente

Quella sera a Ciutadella fiumi di pioggia scorrono in città e, bagnati come pulcini, entriamo nel ristorante della nostra ultima cena a quattro, S’Amarador sul porto, per una cena a base di Arroz caldoso che se ci penso mi torna l’acquolina in bocca. Una specie di zuppa di pesce con riso, deliziosa. Come i nostri ospiti, che ci hanno fatto vivere qualche giorno di casa, di parole in libertà, di sincerità e di pura amicizia. E sono stati di una generosità di cuore e non che non dimenticheremo.

Li lasciamo andare con la promessa che verranno a trovarci nel Caribe.

Sì, sono proprio cumulonembi.

Viviamo a Ciutadella per un po’ di giorni, piccola abbastanza da aver vita comoda senza macchina, grande abbastanza da regalarci ogni giorno qualche strada nuova.

fontana boteriana sbucata dal nulla

Il locale del centro dove conosciamo un barista attore che ci da il suo contatto se mai arriveremo in Messico e che mi consiglia di indossare braccialetti di ossa perché danno energie positive, la meravigliosa famiglia di navigatori incontrati in lavanderia a gettoni, con la bimba di 5 anni che mi aiuta a piegare le lenzuola e quella di pochi mesi che guarda placida il mondo e la loro bellissima mamma sorridente (mi riprometto, quando avrò paura in barca, di pensare a loro che viaggiano in 4 su un dieci metri degli anni ’70, eroi!), il pranzo al mercato dove scopriamo una ricetta che sembra ceviche ma flambé e che ci ammalia, la cattedrale gotica, le strade di lastre di pietra bianca scivolosa come i campi di calcetto saponato, e anche qui la musica nei vicoli e nelle piazze. I panini con la sopresada ed il queso, la birra a poco più di un euro, la vista del porto dall’alto e le nuvole che cambiano volto in pochi secondi. L’ultimo locale prima della partenza scovato per sbaglio, la Margarete, con un giardino interno che a Milano basterebbe da solo a farti pagare il drink il doppio.

Quando finalmente il meteo decide di darci tregua ricominciamo la nostra vita da rada, taglio al budget e ritmi più lenti.

Back to the roots
Io che spero che il Cami de Cavalls non diventi Cami de toros

Ed è nella rada più vicina a Ciutadella che facciamo un altro incontro che rende prezioso questo settembre minorchino. Al calar del sole Gianluca inizia a sbracciarsi, sta arrivando nella nostra baia deserta una bellissima barca, al timone Alfredo, skipper napoletano, aiutato dalla sua compagna Roberta, un’amica di Gianluca dei tempi milanesi.

Incredibile incontrarsi così

Roberta mi racconta di come qualche anno fa abbia deciso, senza troppa premeditazione ma con tanta voglia di lasciarsi alle spalle un po’ della sua vita milanese, di mollare lavoro e casa e di cercare un imbarco per la traversata dell’Atlantico. Qualche esperienza in barca a vela nel suo curriculum ma soprattutto un gran sorriso ed una bellissima energia. L’Atlantico lo attraverserà proprio con Alfredo ed è così che nasce quella che a me sembra proprio una romantica storia d’amore.

Roberta ed Alfredo sono imbarcati come hostess e capitano di un 80 piedi e hanno appena terminato la stagione alle Baleari, stanno per tornare in Italia dove faranno cantiere per qualche mese e poi una meritata vacanza.

Ci hanno accolti a bordo come se fossimo amici fraterni, ci siamo raccontati con quella facilità che solo certe esperienze in comune possono dare, con la vicinanza che solo il mare sa creare.

Alfredo è ad oggi la persona che ho incontrato con più esperienza velica e ascoltare con quanta sincerità racconta delle sue imprese o l’entusiasmo che ancora gli fa brillare gli occhi quando parla dell’ennesimo approdo avventuroso mi fa sorridere. Mi sono accorta che nel mondo della vela, come forse in tutte le realtà che nascono come sportive, c’è una affannatissima corsa a chi ce l’ha più lungo. Ogni skipper è incredibilmente il più furbo, sgamato, quello con più esperienza di sfighe ma anche di soluzioni creative. Il più veloce, il più avventuroso, il più (alla fine, ai miei occhi) arrogante. Si ascolta poco e si parla tanto. I consigli che si danno sono sempre ammantati di paternalismo. E convivendo con Gianluca, che è una delle persone più riservate ed umili che conosca, salta sempre agli occhi questa differenza.

Alfredo mi ha colpito tanto anche per questo, pur potendo dare lezione non solo di vela ma anche di vita avventurosa (quando gli ho chiesto per quanto tempo avesse vissuto dai vent’anni in poi in pianta stabile in terraferma mi ha detto un paio di mesi…) a chiunque ha l’atteggiamento di chi non deve dimostrare nulla e di chi, tra una sigaretta rollata ed un bicchiere di vino, sorride sornione e ascolta attento.

E poi un uomo che guarda con così tanto rispetto la sua donna non può che essere uno che ha capito tutto 😉

Ciao, Amici!

Come dice giustamente Roberta il mare alla fine non è così grande e ci unisce tutti. Questo incontro mi ha dato qualche piccola certezza in più e di sicuro ci ha fatto, ancora una volta, sentire a casa tra amici.

Torniamo per qualche tempo al nord, gli ultimi giorni di baia li dedichiamo a quella meraviglia che è cala Pregonda, dopo una notte al rollio selvaggio nonostante doppia ancora e triple maledizioni, facciamo base a Fornells, unico centro del nord dell’isola, per qualche preparativo pre-partenza.

Vai, tifiamo tutti per te!

Fornells, subito soprannominato il villaggio degli anziani francesi con problemi di circolazione alle gambe, è per l’appunto preso d’assalto da anziani del nord Europa che qui trovano il loro buen retiro. Di conseguenza bar, ristoranti e supermercati si adattano, applicando la tassa pensionato benestante che chiaramente non si adatta ai viaggiatori on the budget. Inoltre il paesino è davvero minuscolo quindi non offre una grande varietà di attrazioni, se escludiamo qualche rovina poco distante ed una torre di avvistamento. Con grande partecipazione quindi applaudiamo la partenza del triathlon che proprio a Fornells si tiene, che ci sveglierà alle sei e mezza con prove impianto stereo e botti.

E quando Gianluca inizia a scalpitare che da troppi giorni siamo fermi finalmente arriva il vento giusto, si salpa direzione Barcellona. Ci aspettano le nuove vele, grandi festeggiamenti per i 40 anni del capitano, le nostre famiglie ed i nostri amici.  Non vediamo l’ora.

Barcelona, arriviamo!

Grazie Minorca, ti abbiamo voluto tanto bene. 

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