OTTAVA TAPPA: QUARANTA RUGGENTI IN SPAGNA
Barcellona ci ha ricordato che non siamo soli.
Come si può raccontare l’abbraccio di cinquanta persone, amici, fratelli, dopo tre mesi di vita a due?
Come si spiega quanto velocemente ci siamo dimenticati del fragore della città, delle macchine, della confusione dopo novanta giorni di isole, borghi, onde?
Barcellona ci ha aiutato a spostare il nostro baricentro ed allargare le nostre spalle.
Ci siamo rivisti nel sorriso degli altri e quando siamo tornati a guardarci ci siamo trovati diversi.
29 settembre 2019: 40 anni di Gianluca. Un appuntamento che avevamo lanciato prima di salpare da Chioggia, quasi scherzando tra un brindisi e l’altro: “ Allora ci vediamo a Barcellona quel week-end, ci conto!”. Ma poi si sa, gli impegni, il lavoro, il volo che chissà quanto costa, a Barcellona ci sono già stato a maggio, ho un matrimonio in Salento lo stesso giorno.
Insomma quegli inviti che propaghi come onde quando lanci i sassi negli stagni e poi quasi non ci pensi più. Finché non mancano tre, due settimane. E sei in una piccola baia a Minorca e si affaccia lo spauracchio dell’organizzazione: se siamo in 15 dobbiamo comunque prenotare almeno il ristorante, no?
Ma quei 15 in meno di due giorni diventano 50.
Siamo entusiasti, quasi drogati dall’idea che tra pochissimi giorni potremo raccontare come è andata fin qua. Cammineremo tra le strade di una città che amiamo con gli amici di sempre da un lato e le nostre mamme dall’altro, è un’immagine che quasi ci turba!
Quando gli impegni sono quasi inesistenti, il ritmo è cadenzato dalle necessità organiche, gli spostamenti li decide il vento, le ore passano lente.
Quando davanti ci si prospetta una scadenza ecco che sembra di essere tornati ai giorni di ufficio, l’organizzazione di pranzi e cene, le vele nuove che sono già a Barcellona ed aspettano solo noi per essere ritirate ed issate, il telecomando dell’ancora da sistemare, una lista infinita di articoli che dobbiamo comprare, ci ricordiamo cosa vuol dire count-down!
Per me poi questo appuntamento spagnolo è ancora più foriero di emozioni: mia mamma compie gli anni negli stessi giorni ed abbiamo deciso di farle una sorpresa, portandola qui a sua insaputa e sempre a sua insaputa troverà a festeggiarla figli, nipoti, cognate (e figlia dispersa in mare da mesi).
Il carico emotivo spinge! Avremo tempo di parlare con tutti come vorremmo? Riusciremo a divertirci anche noi? Ovviamente sono molto più tesa io di Gianluca, alla fine la mia natura non aspettava altro… in questi mesi sono stata fin troppo calma e sedata! Datemi una deadline e vedrete come ritorno in modalità occhiali in punta di naso e polpastrelli isterici sulla tastiera del computer o del telefono.
E finalmente in un fine settembre soleggiato e caldo, con Marianne ormeggiata nel marina del centro di Barcellona, iniziamo a fare fronte alle nostre solite incombenze.
Il tappo del serbatoio del carburante, che si trova esattamente sotto la mia metà di materasso, non tiene più, quando siamo di bolina sembra di essere a bordo di una petroliera. Le ultime ore di navigazione, da Minorca a Barcellona, il capitano è dovuto scendere ogni ora per asciugare il carburante. Il tempo di attraccare e chiamiamo subito un meccanico, un contatto recuperato in banchina. Esperienza da cancellare: il povero assistente meccanico Josep Maria rimane chiuso in cabina per tre ore, sudando copiosamente gocciolando per terra, sui materassi, sui vestiti, ovunque. Non sa come aggiustare il danno, non ha portato i pezzi di ricambio giusti, non ha la più pallida idea di come procedere. Delle tre ore due le inganniamo aspettando la telefonata del suo capo che gli dirà cosa fare delle nostre vite. Risultato: Josep Maria torna il giorno dopo con il pezzo di ricambio ed una fattura da 400€. Increduli chiamiamo il suo capo, la fattura si dimezza ma Josep Maria non farà il lavoro. Alla fine sarà Gianluca a sistemare la falla (a saperlo prima evitavamo il lago di sudore stagnante).
Arrivano anche le vele. Sono candide e “croccanti”, la differenza rispetto a quelle che abbiamo su è incredibile. Poverette, avevano già un po’ di anni sulle spalle, in più in 4 mesi si sono fatte 2000 miglia senza colpo ferire (almeno loro, ché invece il capitano per ogni raffica iniziava a sudare freddo).
Gianluca le bacia ed abbraccia, preso da un deliquio da derviscio rotante.
Le issiamo, sono troppo grandi. Le misure le abbiamo prese noi quindi ora si pone il problema: errore nostro e della nostra bindella o errore del velaio? Arrivano subito a controllare i responsabili di Barcellona, a quanto pare le nostre misure erano corrette, quindi le vele saranno sistemate a loro spese. A questo punto speriamo arrivino in tempo per la nostra partenza da Barcellona…
Ed ecco che a scaglioni iniziano ad farsi vedere i nostri ospiti, qualcuno lo troviamo a bordo di Marianne quando facciamo ritorno dai nostri giri di shopping velico-isterico, altri li incrociamo nei bar lì vicino. Alcuni li andiamo a salutare mentre stanno mangiando delle cozze e con altri beviamo una birra nel barrio gotico.
Il nostro mondo in pochissimo tempo si ingigantisce.
Sulla pelle l’entusiasmo e l’emozione. Attorno solo occhi sorridenti e brillanti, le mani impegnate ad abbracciare, stringere, accarezzare. Brindisi di buon auspicio per il viaggio che ci aspetta e confessioni notturne.
Da Roma e da Milano, da Bologna e da Treviso, per due giorni di intensa condivisione.
Le cene, le passeggiate infinite per tornare a casa di notte lungo la spiaggia, ballare e farsi cacciare via dal locale, organizzare i tour guidati di Marianne, iniziare a considerare Barceloneta un’estensione del giardino di casa e tapear in piazza, ascoltare la musica nel vicolo dei pescatori che festeggia centocinquant’anni di vita, una cena vietnamita a Gracia che però sembra di essere nel centro di Bologna. Rilassarsi con chi capisce. Farsi coccolare. Incrociare uno sguardo al di sopra di una tavolata gremita e riconoscersi. Inorgoglirsi di bambini che sembrano già viaggiatori del mondo e si godono i loro pancake. Rassicurare finalmente sulle proprie condizioni: stiamo bene, mangiamo, ci laviamo e siamo più felici di quando siamo partiti. Ricevere doni alimentari (tanti e graditissimi), alcolici (altrettanto graditi) e libri in preparazione della traversata. Toccare con mano che lo stiamo facendo e che non siamo gli unici a goderne.
Siamo stati felici, muovendoci come in un sogno, increduli e grati.
Grazie a Stefano, a Fabio, al Pile e Angelica, a Toni, Augusta, Stefano, i Briganti. Al Robi e Paoletta, a Teo, Serena, Eden, a Daniela, Silvietta, Pier e Lavinia, Jacopo e Federico. Ad Arianna e Lorenz, ad Andrea e Mary, al Rep, MPG, Stefania e Michele, grazie ad Alice, Nicoletta e Lee-Ann, grazie alle mamme, alla nonna, ai fratelli, Elisa e Mary, Daniela e Graziano, grazie a Sveva, Filippo e Tommy. A Laura, Flavio e lo zio Papone, alla zia Stefy, Simone ed Andrea.
Saluti veloci che si perdono gli aerei e i treni. E ci si prepara a ripartire, questa volta non da soli.
Rimangono a bordo di Marianne Arianna e Lorenzo. Ci faranno compagnia per i prossimi giorni, vorremmo arrivare assieme in Andalusia. Il vento cambia i nostri programmi e rimaniamo bloccati a Barcellona un paio di giorni in più, il tempo necessario per mangiare la pizza più buona degli ultimi mesi, comprare le palline da tennis per proteggere le crocette e diventare una barca circense con quelle aggiunte tonde gialle e rosse e fare un sontuoso aperitivo a bordo di una bella e grande imbarcazione che ci ospita per una sera. Siamo con Andrea, skipper ufficiale della barca dove Mattia, amico di Arianna e Lorenzo, ha lavorato qualche settimana.
Andrea è un siciliano verace che da anni vive a Maiorca. Ovviamente dopo meno di due ore scopriamo qualche conoscenza in comune (ciao Varki! – benedetto sia il mare nostrum).
Ci gira il contatto del suo amico Leo, anche lui assieme a sua moglie Eva attraverserà tra novembre e dicembre l’Atlantico e faranno base, come noi, alle Canarie.
Torniamo a bordo di Marianne un po’ brilli, con un nuovo parabordo mignon che ci è stato regalato, comprensivo di dediche.
Il marina di Barcellona è separato dal mare aperto da un ponte pedonale, che si apre per pochi minuti, il tempo di sfilare fuori, fare l’occhiolino alla statua di Colombo che indica la via per il nuovo mondo, abbracciare la città con lo sguardo. Ci aveva accolto un anno fa per qualche giorno di vacanza, quando guardando il mare dal pontile della Barceloneta spiavamo le vele in lontananza e ci chiedevamo se mai avremmo avuto il coraggio di toccare anche noi quelle sponde da marinai. Ci saluta oggi, mentre veleggiamo per avvicinarci alle colonne d’Ercole.
Se l’idea originaria era quella di passare da Formentera, considerando le attuali condizioni meteo e le tempistiche, decidiamo di costeggiare la penisola iberica fermandoci direttamente ad Alicante, dove lasceremo i nostri due compagni di viaggio.
Il vento soffia ma ovviamente, grande classico, dalla direzione verso cui dobbiamo fare rotta, quindi ci ritroviamo a bordeggiare, contro vento e contro onde, non il massimo del confort.
Ma possiamo testare le nuove vele, soffrendo ogni volta che c’è da dare una mano di terzaroli, verificando che tanti gradi e almeno un nodo in più l’abbiamo guadagnato. Testiamo anche l’assetto turni. Finora, in due, non siamo stati molto rigidi ed i nostri turni erano guidati più dalla stanchezza o dall’entusiasmo che dall’orologio. Con Arianna e Lorenzo invece cerchiamo di obbligarci ad una rotazione costante e regolare, tra on, off e stand-by, anche in preparazione alla traversata atlantica.
Iniziamo ad indossare, per la prima volta dopo mesi, gli indumenti più pesanti, è il momento delle cerate e delle calzamaglie, di notte addirittura salta fuori qualche cappello di lana. Le temperature si sono fatte più rigide, il vento contro non aiuta. In realtà una volta arrivati ad Alicante il tempo di toglierci gli strati ed è di nuovo estate. Le spiagge sono ancora affollate e il marina, uno di quei terribili esempi di architettura stile Gardaland alle porte del centro storico, brulica di turisti che affollano gli altrettanto terribili ristoranti.
Ci addentriamo nelle stradine del centro e scoviamo la trattoria più rozza dove divoriamo con il solito appetito post-veleggiata tutto il pane nostro e dei vicini e delle chilate di pesantissimo riso condito con qualsiasi cosa passasse sopra e sotto il bancone del cuoco, festeggiando il compleanno di Arianna.
Arianna e Lorenzo sono stati tra i sostenitori della primissima ora di questo nostro progetto e, tra messaggini, regali e qualche foto delle code in tangenziale a Milano mentre noi ci lamentavamo della pioggia a Minorca, ci hanno supportato dal primo giorno. Entrambi hanno conosciuto Gianluca proprio in barca una decina di anni fa e si sono appassionati di mare e veleggiate. Ci hanno portato in dono una maestosa bottiglia di grappa (già finita ahimè) e l’entusiasmo di condividere un pezzettino di strada, ricordandoci di quando di Marianne si sognava seduti in una pizzeria vicina al lago.
Li salutiamo mentre ci allontaniamo da Alicante, diretti ad Almeria, la nostra tappa andalusa sulla rotta per Gibilterra.
Usiamo il gennaker per ore.
Lo teniamo per così tanto tempo che io straorzo. Nella baia poco prima di Almeria il vento improvvisamente intensifica e panico e paura con la barca a novanta gradi rispetto al mare in meno di un secondo. Questi battesimi del fuoco mi piacciono tantissimo…
Ad Almeria approfittiamo del costo abbordabile del marina per fermarci un paio di giorni, fare un po’ di cambusa e soprattutto qualche lavoro a bordo. Installiamo la pompa di sentina elettrica stringendo forte i denti mentre buchiamo lo scafo e dandoci il cinque quando vediamo l’acqua uscire zampillando.
Festeggiamo godendo delle tapas, ad Almeria ogni birra viene accompagnata da un piattino a scelta: jamon iberico, mini hamburger, pimientos fritti, calamari o seppie, tonno, salsiccia…
In due giorni facciamo il giro del paese in lungo e largo, dal quartiere arabo che si arrampica sulle stradine, al lungo mare dove, in una specie di container adattato a sala sociale, la banda del paese di ragazzini si esercita dalle dieci di sera in poi. Entriamo in chiesa credendo di esserci imbucati ad un matrimonio da quanto l’eleganza opulenta regna sovrana per scoprire invece che sono solo iniziate le celebrazioni che anticipano i festeggiamenti della patrona, la Virgen del Mar. Tutti gli uomini sono appesantiti da enormi croci di oro e gemme che rappresentano la loro cofradia.
Mi ricorda molto certi paesini dell’interno della Sicilia, con quelle insegne di negozi che ti chiedi come facciano a sopravvivere, abiti da cerimonia per bambini e vetrine intere dedicate alla comunione.
Almeria non ha il fascino esuberante ed universale di Siviglia o Granada, ma nasconde tra i vicoli in pendenza, la piazza assolata e candida della chiesa, le case affastellate nella medina e gli occhi scuri a scrutare, le palme attorno al chiostro del comune, le strade rumorose di brindisi e piattini che si impilano, una sua anima potente.
Affrontiamo con il cuore in gola l’ultimo tratto che ci porterà a Gibilterra, dove arriviamo scortati da mille delfini, con la terra marocchina in vista a sinistra e la rocca inglese alla nostra dritta.
Decine di enormi cargo e petroliere sono disseminati fuori dalla baia dove entriamo a vela. Ci siamo, ecco l’ultimo baluardo del Mediterraneo. La potenza del simbolo si concretizza e ci guardiamo con gli occhi un po’ lucidi.
Fin qui tutto bene.