Viaggio

Nona tappa: il mondo oltre le Colonne d’Ercole

Gibilterra è un non luogo. Come gli arrivi e partenze degli aeroporti, una comunità temporanea tenuta assieme dalle regole del duty free e dall’inglese come lingua sociale.

Divisa dal territorio spagnolo dalla pista dell’aeroporto, che bisogna attraversare  a piedi, tra un atterraggio e un decollo, si accovaccia all’ombra della rocca e delle sue scimmie.

Dà il benvenuto al viandante l’icona più scontata: una cabina del telefono rossa, sfondo perfetto per milioni di selfie, tutti uguali.

Gibilterra è un lastricato di pietre antiche (forse), lembi di villaggio irlandese di case basse dai tetti colorati, pub che strillano la loro britannicità riuscendo ad apparire autentici come gli anellini colorati rivela-carattere che si trovano nelle uova di Pasqua.

Ogni decina di metri (o iarda, paese che vai) rivenditori di tabacchi e alcolici, presi d’assalto dai turisti di giorno e contrabbandati dai briganti di notte, con tanto di inseguimenti sull’acqua, tra lance della polizia di frontiera e imbarcazioni a luci spente.

Nella via principale un’insegna invita ad entrare per chiarirsi le idee su tutto quello che succederà post-Brexit.

Get ready Gibraltar!
Get ready Gibraltar!

Sulla costa del villaggio inglese si susseguono i soliti marina luccicanti, lustrini e paillettes, ristorante tipico italiano con linguine Alfredo e original thai. Cocktail alti quanto me che per guardarli bisogna mettere gli occhiali da sole e navigatori sedentari da porto che riescono funambolicamente ad appoggiare il bicchiere sul ventre mentre le signore tracannano il quarto flûte di cava della serata, c’è l’happy hour, no? Preludio fondamentale per il karaoke, sport nazionale.

Ma le perle di autenticità, sebbene nascoste accuratamente, ché il turista va convogliato verso i prati rasati all’inglese, non si fanno attendere.

In una domenica che non manca di essere piovosa e rigida (dopotutto siamo in Gran Bretagna), indossando per la prima volta le scarpe chiuse dopo mesi, io nello specifico il mio amatissimo paio di Dr Martens comprati proprio a Londra troppi anni fa, scoviamo forse l’unico pub che di turistico non ha decisamente niente.

Barista rude, birra sbattuta sul bancone, bagno in fondo a sinistra, prima devi attraversare la sala di videopoker, quell’odore di legno bagnato da troppe birre versate (sperando che solo di birre si tratti), quattro sgabelli. La metà li occupiamo noi due, il terzo un centenario che sta in piedi solo grazie alla forza di volontà, con l’equilibrio precario di chi è seduto al bancone da metà della vita, l’ultimo sgabello è per il personaggio che non può mancare: quello ubriaco prima di entrare, che riesce ad accomodarsi dopo aver mancato tre volte la seduta, che ordina da bere biascicando e che con tenerezza molesta cerca di offrire un drink anche al barista. Il quale, alla terza proposta, riesce con un  “I’m fine man” a ghiacciare l’ubriaco e il sangue nelle mie vene.

In un attimo sono protagonista della scena madre di Trainspotting, immagino di dover dare dei punti in testa a Gianluca colpito da una pinta.

La fantasia ad occhi aperti finisce, usciamo e torniamo alla nostra Marianne, ormeggiata dall’altro lato del confine, in terra spagnola.

Se Gibilterra ci lascia perplessi ammetto che la gemella ispanica, La Linea, non ci convince molto di più.

Simbolo del territorio di confine, potrebbe essere ovunque nel mondo, tra la sabbia del deserto che il vento solleva in mulinelli e qualche cactus, viaggiatori di passaggio e barche che si preparano ad attraversare lo stretto.

Tra quelle barche finalmente conosciamo Eva e Leo, i navigatori di cui ci aveva parlato Andrea a Barcellona.

Siamo casualmente ancorati prima nella stessa baia e poi nello stesso marina. Un’occasione troppo ghiotta per non combattere le nostre timidezze e contattarli.

In questi primi mesi nel Mediterraneo avremmo voluto stringere qualche amicizia, anche fosse per il tempo di un ancoraggio, con altri barcaioli, ma probabilmente la stagione estiva, foriera di charter e turisti più che di viaggiatori e nomadi, ci ha tenuti a distanza dalle reti sociali acquatiche.

Qualche felice eccezione ovviamente c’è stata ma ormai è un po’ di tempo che abbiamo abbandonato Minorca e, con la traversata atlantica in vista, non vediamo l’ora di condividere con qualcuno che sta per intraprendere lo stesso viaggio ansie, timori, speranze e accortezze tecniche di preparativi.

Eva e Leo, con Tangos, sono stati un approdo felice. Sono diventati proprietari del loro Grand Soleil 47 contemporaneamente a noi, ad ottobre del 2018. Lasciata subito la Liguria, dopo una lunga tappa in Sicilia e in Grecia, sono arrivati, come noi, a Gibilterra da qualche giorno.

A differenza nostra però hanno alle spalle ormai tre anni di vita in barca, tra cantieri in inverno e stagioni estive alle San Blas, come skipper e hostess. Hanno deciso di investire in una loro barca e attraversare assieme a Tangos l’Atlantico per sfruttarla come charter ai Caraibi.

Ci offrono un caffè a bordo, io mi guardo attorno con gli occhi grandi: sottocoperta si può perfino stare con entrambe le braccia completamente aperte! Ci sono vasi di piante e un dissalatore! L’acqua calda, almeno dieci passi tra il bagno e la cabina più lontana, una libreria degna di questo nome… e insomma, Marianne, io ti amo, ma qui parliamo di comodità! Non è tradimento se mi nascondo tra i cuscini e resto a dormire per una notte, vero?

I padroni di casa però mi scoprono e mi invitano a tornare a bordo della nostra piccola baita, sarà per la prossima volta.

Eva e Leo sono due cittadini del mondo, entrambi argentini, Leo vanta genitori siciliani e cresce in un minuscolo paesino piemontese.  E mentre Eva si laureava in psicologia in Argentina, lui diventava architetto a Torino per poi passare immediatamente alla vita di bordo.

Leo è un vero nerd della nautica, non c’è acquisto in quella barca che non sia stato analizzato fino allo sfinimento. Se pensavo che Gianluca fosse tossico di meteo, beh era solo perché non avevo ancora conosciuto lui. Mettere loro due assieme prima della partenza per le Canarie è stato quasi troppo: ogni giorno studio di tre diversi meteo con birrette per verificare se, passata la prova dell’alcol, sembrasse ancora ragionevole partire il giorno successivo.

Tanto Leo è un vulcano di informazioni, quanto Eva sembra misurata nei suoi commenti, con una vena di sferzante ironia e quel meraviglioso accento argentino. Pacata lei, carico ad ogni ora del giorno lui.

Volano i nostri ultimi giorni spagnoli, tra la cambusa e la ricerca della bombola che ci serve per cucinare, tra lo studio del percorso per raggiungere le Canarie e l’approvvigionamento di acqua e refill di carburante.

N0tte di vigilia all’ancora e siamo pronti, abbiamo anche stipulato nell’ultimo giorno utile l’assicurazione per Marianne che ci coprirà ai Caraibi.

La traversata Gibilterra-Canarie durerà circa cinque giorni, il periodo più lungo in mare finora.

Costeggeremo la Spagna per poi attraversare lo stretto e raggiungere, seppure virtualmente, le coste del Marocco, mettendo la prua per la prima volta in Atlantico.  Da lì giù fino alla prima isola dell’arcipelago canarino, La Graciosa.

Le difficoltà del passaggio sono tutte concentrate nella prima tratta, quella dello stretto:

da un lato il traffico intenso di cargo e altri giganti del mare, dall’altro le maree e le correnti, che in quell’area possono essere particolarmente insidiose.

Una volta scavallato lo stretto si tratta solo di tenere un buon angolo al vento e di imparare a gestire le immensità oceaniche, onde incluse.

Inoltre per noi, che abbiamo un autopilota un po’ anziano che quindi probabilmente non reggerà le onde più grosse, si tratta anche di fare dei turni di due ore a testa timonando, giorno e notte.

Sentiamo che la traversata atlantica è sempre più vicina, fino ad oggi è come se avessimo giocato nel giardino di casa, ora si inizia a scoprire l’ignoto.

Partiamo il 17 ottobre, esattamente un anno dopo aver comprato Marianne. Ah, la Cabala…

Tiriamo su l’ancora col buio, poco prima che albeggi. È l’ora migliore per gestire le correnti. Fa incredibilmente freddo, siamo coperti con sciarpe e cappelli, ci sentiamo alla vigilia di una prova importante.

Gianluca è concentratissimo, riporto dal diario di bordo: “Divertente uscita dallo stretto giocando con le correnti bastarde sottocosta”. È vero, si sta divertendo come un bambino. Si mette alla prova con abilità che finora ha potuto sfoggiare solo nelle regate in Inghilterra, usciamo dallo stretto alla grandissima, tanto che io mi addormento.

Facciamo il nostro ingresso in Atlantico, dove dovremmo già incontrare i primi alisei, responsabili di condurci con andature di poppa dritto dritto alle Canarie.

Invece: “la bolina non ci abbandona neanche qua, nel territorio dell’aliseo”.

Effettivamente, tranne qualche ora a motore con il vento completamente morto, procediamo di bolina, con una media di 5 nodi, qualche rovescio e con degli spettacoli offerti da mare e cielo incredibili.

Siamo decisamente in Atlantico, le onde sono lunghissime e deformano l’orizzonte, il mare è grosso ma non fa mai paura, perché morbido, ci avvolge e ci spinge più avanti. Il cielo assume colori che posso solo ricondurre a quelle foto del deserto africano, insomma sono come Simba nel Re Leone.

Simba, tutto questo sarà tuo un giorno
Simba, tutto questo sarà tuo un giorno

Come scrive il capitano: “Che spettacolo! Forse la più bella navigata da luglio”.

Di notte mi trovo al timone, di gran lasco, a fare lo slalom tra mille boe non segnalate dei pescatori, un campo minato da cui esco sudata e incredula. Mi sono fatta una regata a bastone da sola!

L’ultimo giorno finiamo in bellezza, passiamo a sette nodi di media grazie ad un aliseo che ci prende in poppa piena e ad un fiocco tangonato che proviamo per la prima volta. Le vele offrono tutta la loro superficie al vento e possiamo planare sulle onde, con picchi di undici nodi, arrivando gasatissimi fino a La Graciosa.

Vi presento il genoa tangonato
Vi presento il genoa tangonato

Siamo gasati per due motivi: è la nostra prima prova importante e ce la siamo cavata benissimo, l’oceano ci ha incantato, i turni non sono stati insostenibili, siamo abbastanza riposati e Marianne si è comportata alla grande. Secondo motivo: Marianne si è comportata così alla grande che, partiti assieme a Tangos, siamo arrivati esattamente nello stesso istante alle Canarie, nonostante i 13 piedi in meno di lunghezza.

Li avevamo persi quasi subito, nel pomeriggio del primo giorno di navigazione.

Li abbiamo ritrovati nell’esatto momento in cui abbiamo avvistato terra, incredibile. Gianluca inizia a saltare sul posto baciando la barca. Io non me ne capacito e gli tocco la fronte per capire se ha la febbre.

Ogni velista, anche il più mite e umile, sta in realtà facendo una gara contro qualsiasi altra imbarcazione, soprattutto contro quelle che navigano inconsapevoli.

Non dimenticherò mai un Gianluca che si dava i cinque da solo perché aveva fatto mangiare la polvere ad una barca che chiaramente stava facendo scuola considerando che a bordo c’erano ragazzini col giubbotto arancione…

Avvistamento di Tangos e della Graciosa in contemporanea
Avvistamento di Tangos e della Graciosa in contemporanea

Il tempo di riconoscerci a vicenda che ritorna il contatto radio interrotto quattro giorni prima, le prime parole di Leo sono: “ Che vergognaaaaa!!”. Gianluca gongola ma sportivamente si trattiene dal farlo ad alta voce.

Ad onor del vero c’è da dire che su Tangos il fiocco non poteva essere tangonato quindi hanno fatto qualche miglio in più…

Ormai il buio sta calando, veniamo rimbalzati dal marina di Caleta de Sebo (misteri dei porti: non ci sono posti ma a noi sembra tutto vuoto). Entriamo quindi entrambi nella baia La Francesa, è notte, diamo ancora, dopo 4 giorni e una decina di ore dalla partenza da Gibilterra, nel fondale dell’Atlantico. 

Il giorno dopo esplorazione, scendiamo tutti e quattro a terra. Davanti a noi una spiaggia quasi vuota e un vulcano rosso. Dietro la spiaggia un territorio alieno, tra il deserto e qualche arbusto. In lontananza si iniziano a vedere i tetti piatti e i muri bianchi delle case dell’unico villaggio dell’isola.

la caotica Caleta de Sebo
la caotica Caleta de Sebo

Un paesino con le strade di sabbia e due bar vicino al porticciolo. Mai mangiato e bevuto con così tanto desiderio, birra fresca, calamari fritti, patate con salsine indigeribili e deliziose.

Il giorno dopo escursione sul vulcano. Ora: io soffro di vertigini. Molto. Affacciarmi dal balcone del terzo piano è già una prova di coraggio. Acconsentire a salire su un vulcano, con una mulattiera strettissima e a strapiombo, con un vento da uragano è sicuramente una dichiarazione di amore al mio capitano che ci teneva tanto.

Un versante del vulcano è visibile dal basso, l’altro dà direttamente sull’oceano. Una volta in cima decidiamo ovviamente di non tornare dalla strada che conosciamo ma di saltellare in equilibrio come caprette di montagna sulla pietra liscissima levigata dalle onde, tra pozze scivolose e ossa di uccelli che troviamo in grande numero (spolpati dal chupacabras?).

Arriviamo, assieme ad una terrorizzata giapponese, in un’isolata bianca baia. L’acqua è gelida e cristallina. Io avrò male alle gambe per tre giorni, è un’escursione meravigliosa che consiglio a tutti.

Come si scende da qui?
Come si scende da qui?

La Graciosa è una piccola gemma delle Canarie, con una calma unica, spiagge incontaminate, passeggiate in paesaggi brulli e vulcani che virano dal rosso al giallo.

Abbiamo deciso di attraversare a metà novembre, abbiamo quindi quasi un mese per preparare noi e la barca e provare a scoprire un po’ di Canarie.

Quello che sapevo dell’arcipelago:

Isole dove svernano pensionati, amate soprattutto dai nord-europei, coste disseminate da abusi edilizi, divertimento a buon mercato e pelli molto chiare ustionate.

Quello che scopro delle Canarie:

non esistono le Canarie, ma ci sono isole distinte con caratteri ben definiti. Noi abbiamo visitato Lanzarote e Fuerteventura che in comune hanno l’origine vulcanica, i piatti tipici e poco altro.

Le Canarie furono (ri)scoperte dopo l’epoca romana da un navigatore genovese (l’ennesimo!), tale Lanzarotto, nel XIV secolo. Il popolo che abitava le isole, i Guanci, tribù di probabili origini berbere, venne sterminato dai colonizzatori spagnoli, tra armi e virus.

Alle Canarie c’è sempre vento, e quando dico sempre intendo che per i primi giorni il mal di testa è una costante. Di conseguenza è una meta del cuore per surfisti e kitesurfer.

Feroce Lanzarote
Feroce Lanzarote

A Lanzarote, affascinante isola che si divide tra il nero della roccia vulcanica, le viti nane nascoste da muretti costruiti su misura, baie sonnolente di pescatori e viste maestose, ci sono cantine, villaggi bianchi che ricordano Formentera e soprattutto il monopolio culturale di César Manrique, l’architetto che fece grande l’isola dagli anni settanta in poi con decine di sculture, edifici, grotte e addirittura un incredibile giardino di cactus che ha stregato il cuore del capitano (a casa a Milano abbiamo un cactus, soprannominato “La prima moglie” che, adottato neonato con dimensioni da piantina grassa, sta per toccare il soffitto). 

Amore a prima vista
Amore a prima vista

Opere architettoniche leggere ed eleganti, integrate in una natura cui l’uomo deve sempre chiedere il permesso, tra vento, eruzioni vulcaniche, onde e sole che brucia.

Scegliamo Fuerteventura come base per i prossimi venti giorni. Abbiamo bisogno di fermarci in porto per poter avere facile accesso a negozi di nautica e supermercati (oltre che all’elettricità) e pare che in quest’isola i marina siano particolarmente economici, inoltre a Fuerteventura abbiamo un aggancio, un vecchio amico di Gianluca che vive lì da qualche anno.

L’unica costa praticabile per noi, considerando la direzione del vento, è quella orientale, che guarda l’Africa. Ci fermiamo quindi prima a Puerto del Rosario, la cittadina più grande dell’isola, e poi in pianta stabile a Gran Tarajal, villaggio poco più a sud.

Il paesaggio di Fuerteventura è molto più spoglio e desertico di quello della vicina Lanzarote, a nord-est c’è addirittura un deserto la cui sabbia pare arrivi direttamente dal Sahara con il vento. Dune dorate che si stendono per centinaia di metri e poco distanti le onde dell’oceano, che si spezzano a riva portando sulla cresta decine di surfisti. Abbiamo esplorato l’isola con Alice, una mia carissima amica che ha approfittato della nostra relativa vicinanza per venirci a trovare e salutare prima della traversata.

Abbracci nel deserto
Abbracci nel deserto

Alice arriva portando notizie dal mondo bolognese e il desiderio di chi vive in città e deve tornare nella nebbia dopo qualche giorno, di riempirsi gli occhi di mare e di pace.

La vedo salire in barca e sedersi a poppa, con le ginocchia rannicchiate al petto, guardare davanti a sé e semplicemente respirare.

È bello vedere come il mare e Marianne possano fare questo effetto, ogni tanto forse io e Gianluca ce lo dimentichiamo, presi in questo turbinio di organizzazione e preparazione.

Torniamo a fare qualche aperitivo in barca, disegniamo al tramonto, lei fotografa. Per qualche giorno scende una calma cui c’eravamo disabituati.

Credits: Alice
Credits: Alice

Prendiamo una macchina e scandagliamo l’isola, da nord a sud.

La costa nord-ovest è il paradiso degli sport, vicino ad un faro che si staglia nel paesaggio piatto, baie  con onde e vento costante. Chiringuiti sulla spiaggia, dove peraltro sembra che l’italiano sia la lingua comune, birrette a prezzi indecenti, un tempo lento e sale sulla pelle.

Salutiamo Alice, che mi abbraccia completamente, come lei sa fare così bene, e ritorniamo alla nostra preparazione.

Aiutati dai vicini di barca che ci prestano un documento spagnolo riusciamo finalmente a sdoganare alcuni componenti che aspettavamo da tempo per completare il nostro set di batterie, il battery monitor ed uno Sterling Power, regolatore di carica per l’alternatore. Sono giorni di montaggio feroce per il capitano.

Italia 1 - dogana Canarie 0
Italia 1 – dogana Canarie 0

Ci spostiamo su e giù per l’isola a bordo dei wawa, gli autobus locali che collegano nord e sud.

Veniamo accolti ed accuditi da Simone e da sua moglie Zsuzsa, hanno una bellissima bambina di pochi mesi che ha occupato ogni piano della loro casa e nonostante questo ci offrono affettuosissima ospitalità, una doccia, cena ed un letto (dopo quasi sei mesi!).

ho lasciato solo il capitano per una settimana e ha messo su famiglia
ho lasciato solo il capitano per una settimana e ha messo su famiglia

 

Ci portano a mangiare in una trattoria decisamente fuori dalle rotte turistiche, per poco più di dieci euro mangiamo tanto da dover slacciare il primo bottone dei pantaloni, capretto in svariate forme, formaggio alla piastra, vino rosso traditore e non manca il digestivo bastardo offerto dalla casa.

Ci viene a trovare anche Diego, amico bolognese che ha scoperto da poco una passione per il surf e che, approfittando di una settimana di lezioni a Gran Canaria, prende due aerei ed una macchina a noleggio per una mezza giornata di saluti. Grazie Diego, sei un figo!

che maschio!
che maschio!

Con lui scopriamo la parte più a sud dell’isola, la più turistica, completamente occupata da tedeschi e da enormi hotel che devastano la costa.

Manca una manciata di giorni alla partenza, ci raggiunge Pier, il terzo membro dell’equipaggio per la traversata, con la sua compagna Lavinia.

La crew
La crew

Ci concediamo qualche pizza nel locale italiano sul lungo mare, scopriamo che gli italiani che vivono sull’isola subiscono spesso i pregiudizi degli spagnoli perché pare che le Canarie siano porto franco per chi dall’Italia scappa per qualche problema con la giustizia.

Preparo la lista della spesa per la traversata, pranzo e cena per trenta giorni (ce ne dovremmo impiegare tra i venti ed i venticinque). Avendo sott’occhio i pasti è più facile capire le quantità. Studio online cercando ispirazione qua e là ma alla fine mi rendo conto che, essendo la maggior parte dei racconti di traversata scritti da inglesi, non mi ritrovo molto nelle loro proposte culinarie. Quindi mi ricordo di quanto ci diceva Alfredo: comprare tanta frutta e verdura a diversi stadi di maturazione. La preoccupazione maggiore è per l’acqua da bere: dobbiamo stivare circa 300 litri, troveremo il posto evitando che ci rotolino tra i piedi in navigazione?

Facciamo la spesa in due diversi supermercati di Gran Tarajal, precedentemente studiati per capire dove convenisse comprare cosa, con uno store check che neanche ai tempi del mio lavoro nel marketing… la frutta e la verdura in uno, pane e pasta nell’altro e via così.

Ci facciamo regalare delle cassette di plastica, Gianluca le fissa al tavolo della dinette (che in navigazione resterà sempre aperto) e le colmiamo di fresco, le mele isolate da una parte che hanno quel maledetto superpotere di far marcire in tempo zero qualsiasi cosa. Per il resto peperoni, melanzane, arance, pomodori, mango, avocado…

ortomercato svmarianne
ortomercato svmarianne

Alla fine per l’acqua troviamo un’ottima soluzione: bottiglioni da 15 litri che incastriamo sotto il tavolo e bottiglie che invece nascondiamo in ogni pertugio.

Compulsiva-ossessiva?
Compulsiva-ossessiva?

I preparativi sono il perfetto tranquillante: stivare la cambusa, controllo dei medicinali (grazie Marta!), ultimo bucato (a mano nel bagno del marina), telefonate ad amici e famiglia, i documenti per il check-out in porto… attività incredibilmente utili per non pensare a tutte le miglia che abbiamo di fronte.

Ma la sera della vigilia arriva invece potente tutta l’emozione, basta qualche messaggio da casa, un brindisi in più, la lacrima è dietro l’angolo. È la notte del diciassette novembre e dormiamo di un sonno profondo.

Alle 12.30 del giorno successivo siamo pronti, Lavinia ci saluta dal molo, i vicini di barca applaudono, molliamo gli ormeggi. Marianne parte, direzione: Martinica.

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